drone-folk: evanescenti muse della bassa fedeltà

“Home taping is reinventing music” recitava una sorta di epigrafe associata al titolo del secondo album dei Flying Saucer Attack, il meraviglioso “Further” (1995). Quasi un quarto di secolo più tardi, quell’affermazione si è rivelata quanto mai profetica, forse anche oltre le stesse aspettative del duo formato da Dave Pearce e da Rachel Brook. La facilità d’accesso ai mezzi di registrazione, la libertà di circolazione delle musica realizzata attraverso la rete e un gusto sempre più diffuso per un’essenziale immediatezza espressiva hanno condotto, tra l’altro, alla definizione di una nicchia creativa, popolata in particolare da musiciste votate tanto all’introspezione “da cameretta” quanto alla ricerca di sonorità sfuggenti. La caratterizzazione di genere è particolarmente rilevante in questa nicchia – invero nemmeno tanto ristretta – nella quale elemento decisivo è rappresentato da parti vocali eteree e talora indecifrabili, avviluppate da fondali sonori dai tratti spiccatamente indefiniti, amplificati dalla ricorrente e spesso deliberata bassa fedeltà delle registrazioni. Con l’espressione di drone-folk – volendo semplificare – si potrebbe identificare la categoria di artiste presentate in queste pagine, vista la compresenza nelle loro tavolozze di elementi acustici, oltre che di riverberi e filtraggi che, in alcuni casi, arrivano a trasfigurare le loro stesse voci, sublimazioni di incanti dal fascino misterioso, dall’essenza inafferrabile e dunque, proprio per questo, squisitamente femminile.

ATARIAME
Sotto il cielo grigio di un inverno baltico, sbocciano i colori opalescenti di una giovane artista russa dalla biografia e dalla propensione stilistica inusuali. L’incantevole sensibilità di Natalia Salmina trae origine dal cuore della Russia, si è sviluppata attraverso un solitario passaggio su un’isola tailandese deserta, è tornata a maturarsi nella sua residenza di San Pietroburgo, prima di trovare coronamento nel pullulante crocevia berlinese di arti sonore e visuali. La sua più recente cassetta sotto l’alias Atariame (“Fear Is The World“, 2017) l’ha portata a dispensare anche in Italia il fascino onirico di quell’intersezione tra folk e shoegaze che costituisce l’essenza del suo profilo espressivo. I suoi brani presentano contenuti fortemente immaginifici, veicolati da una voce tanto evocativa quanto vibrante, saldata alle evanescenti linee sintetiche e ai languori chitarristici distillati in riverberi in bassa fedeltà di un drone-gaze introspettivo, sognante e pervaso da malinconia metropolitana.

BIRDS OF PASSAGE
A suo modo, Alicia Merz può considerarsi una antesignana della “drone-writer” che coniuga ricerca atmosferica in bassa fedeltà con confessioni di tormentato intimismo in forma di canzone. È infatti dal 2010 che si è dapprima manifestata sotto il suo alias Birds Of Passage, con un album di straniante bellezza e di rara intensità, “Without The World“, pubblicato per una piccola etichetta americana e subito rilanciato dalla Denovali. Rivelatasi al mondo dal quale la sua ispirazione ostentatamente rifuggiva per rifugiarsi in solitari fremiti emozionali, l’artista neozelandese ha intrapreso una fitta serie di lavori solisti e di collaborazioni (accanto a Leonardo Rosado, con Jeff Stonehouse in Snoqualmie Falls, con Gareth Munday in Brother Sun, Sister Moon). Dopo un opportuno periodo di decompressione e riconsiderazione del proprio processo creativo, è da poco tornata con il quarto album “The Death Of Our Invention” (2018), che ne ha rinverdito la poetica di introspezione sofferta, isolazionista, appunto “without the world”.

BRUMES
Benché la tavolozza espressiva di Desireé Rousseau sia leggermente più articolata rispetto a quelle di altre artiste trattate in questo contesto, la breve produzione della polistrumentista di Portland sotto l’alias Brumes presenta comunque analoghi tratti di vocalità eterea e nebbiosa densità atmosferica. Decisivo per la definizione della sua identità musicale è stato l’incontro, nella fervida scena della città dell’Oregon, con Peter Broderick, che già ne aveva registrato il debutto “Soundings In Fathoms” (2015). Broderick ha poi fatto parte integrante dell’ensemble che l’ha affiancata in “Afterglow” (2017), pubblicato dalla cassette-label belga Dauw. In quel lavoro dalla bellezza austera e ammaliante, Desireé Rousseau ha inscritto le sognanti carezze al rallentatore delle sue canzoni in un contesto acustico-cameristico nel quale si affacciano arpa, marimba, tromba e archi. L’effetto evocativo di riverberi chitarristici e soffici strati sintetici ne è risultato potenziato in incantati viaggi sonori a mezz’aria.

MADELINE JOHNSTON
Un’intensa attività di produzioni su cassette dalla tiratura rigorosamente limitata, associata ad ascetiche esibizioni nella scena “off” di Denver ha caratterizzato fin dall’inizio il progetto creativo di Madeline Johnston. Dopo una breve fase iniziale sotto l’alias Mariposa, con la denominazione Sister Grotto ha cominciato a prender forma la sua fisionomia artistica, definita in maniera marcata dalle soffici coltri di riverberi e dai respiri angelici che aleggiavano nel debutto “You Don’t Have To Be A House To Be Haunted” (2016) e dalle oniriche narcolessie del coevo split “Song For An Unborn Sun“. A un nuovo mutamento dell’alias in Midwife è corrisposta un’apertura a componenti melodiche e chitarre decisamente più esplicite rispetto al drone-folk del periodo precedente. L’ispessimento della grana chitarristica dei brani di “Like Author, Like Daughter” (2017), confermata dal recente EP “Prayer Hands“, non ne ha tuttavia deviato il profilo da un persistente intimismo lo-fi, rivelando invece minimali affinità shoegaze.

BRIANNA KELLY
Brianna Kelly è una musicista di Cincinnati, già chitarrista della band Soften, da poco entrata nel circuito delle muse droniche grazie alla pubblicazione, da parte della stessa etichetta che ha proposto il primo album di Midwife (la Whited Sepulchre), di uno split insieme ai Sympathy Pain. I suoi primi brani solisti coniugano trasognate armonie vocali al rallentatore con altrettanto narcolettiche basi popolate da drone e riverberi in fedeltà medio-bassa. La ricerca da parte di Brianna Kelly di suoni e sensazioni dai contorni volutamente indefiniti si traduce in canzoni eteree, sospese a mezz’aria in un’ambience fredda e impalpabile, solcata soltanto da occasionali arpeggi dilatati. L’inevitabile richiamo alle atmosfere della colonna sonora di Twin Peaks si riveste attraverso la sua voce di una magia inquieta e di un intimismo meditativo, che sintetizza l’essenza aerea e “da cameretta” di un’arte umbratile, della quale l’interpretazione di Brianna Kelly merita di essere seguita con interesse.

NIGHTTIME
La stessa denominazione prescelta da Eva Louise Goodman suggerisce una proposta dai contenuti notturni e fortemente evocativi. La promessa è mantenuta dalla produzione, scarna e sotterranea, finora realizzata dall’artista canadese sotto l’alias Nighttime: tre brevissimi frammenti di ispirazione cinematografica (“Song For An Unmade Film”), rilasciati in formato digitale nel 2014 e due cassette confezionate l’anno seguente sotto forma di un EP e di un album. Quest’ultimo, intitolato in maniera emblematica “L’Age D’Or“, costituisce un autentico gioiello nascosto di grazia e mistero, che con forza gentile descrive atmosfere dal fascino misterioso, alimentate dalla ricerca di un’armonica simbiosi tra individuo e natura. Le modulazioni vocali di Eva Louise, solo parzialmente intellegibili, pennellano itinerari armonici tra boschi rischiarati dalla luce lunare, saldandosi con strati di loop e modulazioni, dolcemente adagiati su tappeti di risuonante bassa fedeltà.

(pubblicato su Rockerilla n. 458, ottobre 2018)

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