SOFTLOUD – Emotional Anatomy
(Autoprodotto , 2012)
A leggere Softloud il pensiero corre inevitabilmente alla formula – troppo presto trasformatasi in cliché – alla base di tante travolgenti cavalcate post-rock. Niente di più lontano dalla forma espressiva prescelta dal terzetto sardo contraddistinto da tale denominazione, da collocare invece nell’alveo di un rock d’autore che non disdegna la melodia, coniugando così appunto le carezze di un approccio morbido con il fragore di chitarre e ritmiche schiette e di pronto impatto.
Prodotto da Giacomo Fiorenza, “Emotional Anatomy”, secondo disco della formazione sarda, raccoglie undici canzoni di rock classico ma niente affatto banale; anzi, a fronte della diffusione di tante formule cervellotiche, non può che salutarsi con favore la controtendenza dei Softloud, che pur non rinunciando a qualche segmentazione ritmica e a un accurato lavoro sulle chitarre, lasciano riscoprire il piacere semplice di una fluidità melodica supportata da un impianto sonoro agrodolce, nel quale chitarre e tastiere convivono in maniera equilibrata.
Sospesi tra il college-rock anni ’90 e un’immediatezza più prossima a quelle dei coevi cantori rock inglesi, i Softloud depotenziano attraverso le costruzioni armoniche punte leggermente più abrasive dando luogo a un suono coeso, accuratamente rifinito in studio, che tuttavia non rinuncia alle proprie componenti più istintive, tanto da lasciar riaffiorare “Before Anyone” anche schegge di un’anima acustica, in apparenza sopita dai tempi dell’esordio “A Place To Hide” (2009).
L’”anatomia emozionale” della band sarda lascia in definitiva riscoprire il piacere di una normalità spogliata da artifici, certamente ancora perfettibile dal punto di vista della riconoscibilità della scrittura, ma tale da potersi ricavare un proprio credibile spazio tra la miriade di proposte che popolano il panorama indipendente italiano.