RICHARD SKELTON – Verse Of Birds
(Corbel Stone Press, 2012)
A dispetto di quanto possa suggerire il titolo, non è un’opera di field recordings naturalistici il nuovo monolite sonoro innalzato da Richard Skelton ai cieli d’Irlanda.
Lungo i cento minuti di “Verse Of Birds” – magnificamente confezionato in associazione a una raccolta di poesie – i suoni generati dall’applicazione di peculiari tecniche di registrazione e filtraggio a violino e chitarra si atteggiano a semplici emulazioni di quelli naturali, dei quali sono intesi a riprodurre i connotati più acuti e istintuali.
Nel doppio cd che racchiude le dodici sinfonie di Skelton, ricorrono tutte le suggestioni evanescenti catturate nelle nebbie dello splendido “Landings”, plasmate in maniera se possibile ancora più inquieta, nell’esplorazione di un contesto ambientale alieno tanto da evocazioni pastorali quanto da rapimenti contemplativi. L’arte di Skelton tende dunque ancora una volta all’assoluto, al sublime, modulando dissonanti torsioni chitarristiche e prolungati stridori d’archi per conseguire risonanze persistenti e angosciose.
La significativa durata media delle tracce contribuisce all’effetto straniante, rispondendo a un’impostazione uniforme e tuttavia percorsa da dinamiche nervose che sfiorano in più occasioni il rumore e solo a tratti vengono riempite da un percepibile calore acustico (“The Narrow Rooms”) o svaporano in più piane astrazioni ambientali (“A Kill” e gli oltre diciotto minuti della conclusiva invocazione “Domain”).
Ieratico e dolente come tutte le produzioni di Skelton, “Verse Of Birds” non si presta certamente ad ascolti agevoli, eppure adempie il concept ad esso sotteso, suscitando con stupefacente essenzialità sensazioni forti, che lasciano senza fiato e forse proprio per questo appaiono destinate a essere contemplate con lo stupore passeggero della loro ponderosa unicità piuttosto che essere replicate in maniera continua.