HJALTALÍN – Enter 4
(Self Released, 2012)
Parabola curiosa e, in un certo senso, inspiegabile quella degli Hjaltalín, collettivo islandese che ai suoi esordi (“Sleepdrunk Seasons”, 2007) pareva destinato a diventare la nuova “next big thing” proveniente dall’inesauribile giacimento artistico dell’isola del fuoco e del ghiaccio.
Il suo percorso verso importanti palcoscenici internazionali pare invece aver subito una significativa battuta d’arresto, riscontrabile prima nell’incerta transizione dall’indie-folk profondamente radicato nella tradizione islandese alla grandiosità da musical dell’ultimo “Terminal” e nella circoscritta distribuzione – per il momento solo in formato digitale – del terzo album autoprodotto, “Enter 4”.
Le dieci tracce del nuovo lavoro sviluppano infatti le tentazioni revivalistiche della band capitanata da Högni Egilsson in dieci tracce che, se da un lato mantengono sullo sfondo l’impianto orchestrale una volta appannaggio di ballate folk colorate da arrangiamenti di archi e fiati, dall’altro muovono con ulteriore decisione verso reminiscenze di pop-rock anni ‘70, completato da imprevedibili venature disco, attraverso l’utilizzo di tastiere, ritmiche sintetiche e vivaci cori in falsetto.
Non può dunque mancare un certo sconcerto al primo approccio con l’incipit “Lucifer/He Felt Like A Woman” o di “Crack In A Stone”, che se non fosse per la latente chitarra distorta della prima potrebbero sembrare concepite in preda a febbri da sabato sera. il retroterra della band riaffiora ancora nel cadenzato impianto ritmico (reale) di “Forever Someone Else” e di “Letter To (…)”, oltre che nel florilegio d’archi della conclusiva “Ethereal”, mentre anche la più piana ballata “One The Peninsula” e gli altri passaggi affidati alla voce femminile Sigriður Torlacius risultano poco spontanei e sostanzialmente stucchevoli.
Un vero peccato, per una band dalle indubbie capacità, che non è riuscita a gestire la propria ridondanza espressiva ma anzi ha finito per compensarne la riduzione dell’impianto orchestrale con una non riuscitissima ricerca a metà tra tentazioni mid-stream (Arcade Fire?) e revivalismi ormai piuttosto banali. Il tutto, al di là delle sonorità, a discapito dell’efficacia delle canzoni, che mentre in “Terminal” ancora offrivano alcuni spunti brillanti, in “Enter 4” faticano davvero a lasciare tracce significative.