MELODIUM – The Island
(Audio Dregs, 2012)
Al quindicesimo disco della sua prolifica attività sotto le spoglie di Melodium, per Laurent Girard è certamente difficile sorprendere o spiazzare chi ben ne conosce la giocosa indole folktronica e anche gli accenni di obliquo cantautorato che hanno caratterizzato alcuni tra i suoi lavori più completi e riusciti, quale ad esempio “Music For Invisible People” (2006).
In particolare dopo le non eccelse prove di “My Mind Is Falling To Pieces” e, soprattutto, l’ultimo incolore “Coloribus”, si poteva pensare a un inaridimento della fertile creatività dell’artista francese, che sembrava ormai destinato a replicare stancamente le sue eccentriche trame analogiche. Invece, superato il comprensibile scetticismo nell’approccio, “The Island” fa ritrovare Girard in discreta forma sia compositiva che di scrittura, sotto una fioca luce casalinga che ammanta il consueto armamentario di note prodotte da flauti e tastiere giocattolo, ma anche delicatezze acustiche e armonie cullanti, cantate quasi sottovoce.
Si direbbe che la pausa discografica insolitamente lunga (almeno per i suoi standard) sia stata messa a frutto da Girard per affinare l’ispirazione che ha presieduto alle undici tracce di “The Island”, strumentali quelle dispari, in forma di vere e proprie canzoni quelle pari. Certo, tutti i brani recano la firma che ha reso riconoscibili i lavori di Melodium, benché in prevalenza sfumati in una dimensione adesso intima e casalinga nel suono, oltre che nelle modalità di realizzazione.
Loop analogici meno inafferrabili che in passato sostengono così sognanti trame armoniche, mai così compunte e, in un certo senso, prossime al folk, in particolare negli aggraziati ceselli acustici di “The Feeble Light” e nelle rilucenti note di piano di “The Outside”. C’è ancora spazio per giocose derive interstellari (“Supervacuum”, “Gaisma”) e per un firmamento in lenta espansione di detriti policromi, che percorrono tanto canzoni sottovoce (“The Little Robot”) quanto strumentali dall’abituale aura trasognata (la conclusiva “Sine Ictu”).
“The Island” risulta così un lavoro estremamente fresco e gradevole, che non mancherà di essere positivamente salutato da chi, negli anni, di Girard ha apprezzato tanto le ardite orchestrazioni di strumenti giocattolo quanto le saltuarie trasformazioni in “cantautore folktronico”, qui riassunte con un piglio lieve, dimesso ma, come sempre, fondamentalmente divertito.