STUART WARWICK – The Butcher’s Voice
(Faux Discx, 2013)
Non lasciatevi ingannare dalla copertina chiassosa e chiaramente provocatoria, con tanto di effigie dell’icona del porno trans Buck Angel…Certo, il tema dell’identità di genere ricorre lungo tutte le undici tracce di “The Butcher’s Voice”, ma non per questo soltanto il secondo lavoro di Stuart Warwick deve considerarsi un concept chiuso in un alveo narrativo di solipsismo comunicativo. Nel corso delle undici tracce del disco, l’artista inglese mostra invece una significativa versatilità, che ne dischiude l’ambizioso songwriting e l’alto registro di interpretazioni sfrontate e coinvolte a un’espressività estremamente aperta nelle sue varie sfaccettature.
Benché il pianoforte permanga lo strumento d’elezione di Warwick, “The Butcher’s Voice” non è solo un disco di ballate pianistiche; in effetti è un po’ un peccato, perché il meglio il cantautore di Brighton sembra offrirlo proprio negli episodi più schietti ed essenziali, quali “Man With A Pussy” (sic), “Cherished Muscle” e almeno parte della title track, nei quali il suo naturale falsetto si libra su disadorne melodie al piano, giustificando l’inevitabile paragone con Antony o Perfume Genius e sfiorando persino l’aggraziato lirismo di Christopher Barnes.
La restante e prevalente parte del disco vede invece Warwick impegnato a inserire le sue canzoni in contesti più articolati, pur senza ricadere quasi mai in eccessi di magniloquenza. Così, l’incedere folktronico di “Birds That Don’t Fly” e le composte pulsazioni di “Crush” fanno da vivace contorno alle lievi torsioni vocali di Warwick, mentre le dinamiche corali, le ritmiche e l’uniforme substrato sintetico di “Dame Binned Cow” e “Dreams Of A Tomato Can” indulgono pericolosamente a derive radioheadiane, nelle quali non riesce a rifulgere a dovere la personalità di un songwriting obliquo e profondamente sentito.