raising_holy_sparks_for_fran_etched_in_glass_waterRAISING HOLY SPARKS – For Fran, Etched In Glass & Water 
(Fallow Field, 2013)

Un incredibile sincretismo di riferimenti culturali ed esperienze personali trova la propria sintesi in “For Fran, Etched In Glass & Water”, secondo lavoro solitario di David Colohan sotto la denominazione di Raising Holy Sparks dopo l’accantonamento dell’enciclopedico progetto collettivo Agitated Radio Pilot.

Alle esplorazioni del misticismo irlandese, ricorrente in pressoché tutte le sue opere, si uniscono adesso le suggestioni filosofico-religiose dell’haṡidismo e quelle nel naturalismo islandese più desolato (la cascata ritratta in copertina sembra proprio quella di Skógafoss), nonché un episodio tra sogno e realtà narrato dallo stesso Colohan come avvenuto in un albergo di vetro la sera dopo la sua visita di un cimitero megalitico nella zona di Sligo: la magia allucinata dell’epifania e della successiva sparizione nel nulla di una bellissima ragazza di nome Fran, alla cui ricerca il disco è interamente dedicato.

Il tema dell’incontro e dell’addio ricorre lungo tutto il lavoro, fin dai titoli dei suoi nove brani, un breve preludio e una conclusione intitolati “A Farewell Too Near A Greeting” e sette movimenti nei quali è ripartita la title track.
In coerenza con le molteplici fonti di ispirazione, il lavoro assume le sembianze di un’arcana sinfonia in bilico tra leggende di spiriti, visioni sperimentali e ambientazioni rarefatte, che Colohan crea in completa solitudine, riassumendo in sé un’eccentrica orchestra composta da fisarmonica, dulcimer, melodica, mellotron e trombone, giustapposti in molteplici intersezione e filtrati secondo iterazioni droniche, deputate a perpetuare gli inafferrabili momenti di un fugace incontro o i misteri di tradizioni e luoghi scolpiti dal tempo.

Ne risulta un conciso spaccato di appena trentacinque minuti – in chiara antitesi con le ponderose produzioni di Agitated Radio Pilot – che tratteggia visioni tra il reale e l’immaginario, distaccandosi in parte dalle matrici pych-folk per elaborare, a partire dalle stesse, una palpitante formula orchestrale, in grado di unire profondi riferimenti culturali a moti fugaci delle emozioni. Il misticismo che ammanta tutto il lavoro si presta così tanto all’ascetismo meditativo quanto a un rapito coinvolgimento, evocato in particolar modo dalle elongazioni d’archi del secondo e del quinto movimento della title track.

Sono soprattutto questi passaggi a stabilire una connessione con le sperimentazioni orchestrali di Richard Moult, mentre le componenti più spettrali e rarefatte trovano punti di contatto con le trame vittoriane di Michael Tanner. Entrambi i possibili riferimenti offrono dunque adeguata dimostrazione delle vocazioni orchestrali di Colohan, che in fondo non abbandona il misticismo folk al quale ha improntato tutta la sua attività musicale ma semplicemente lo declina secondo un linguaggio rinnovato, per cercare finalmente di catturare la comune insondabilità di una visione naturale, di saga misteriosa o di un sentimento dalla durata di un attimo.

https://www.facebook.com/pages/Raising-Holy-Sparks/

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