RICHARD MOULT – Yclypt
(Second Language, 2012)

Riti ancestrali della tradizione britannica sono alla base dell’ispirazione della nuova opera firmata dal poliedrico compositore, poeta e pittore Richard Moult, primo artista a doppiare la sua presenza nel catalogo della Second Language di Glen Johnson e soci.

Se “Celestial King For A Year” traeva spunto da canti cristiani di epoca medievale, le sei composizioni raccolte sotto l’enigmatico titolo di “Yclypt” (termine arcaico dal quale è derivato il verbo “to embrace”) sono il frutto di una rivisitazione di un’antica cerimonia religiosa, scoperta da Moult durante un soggiorno nella zona costiera del Gloucestershire, che contemplava canti corali intonati da giovani che tenendosi per mano circondavano il perimetro della chiesa locale.
Benché afasici, gli inni innalzati in “Yclypt” restituiscono una sensazione analoga, evocando al tempo stesso comunanza e sacralità. Mentre la seconda rappresenta più che altro una suggestione, prodotta dall’austera elongazione di piéce per archi, la prima è compiutamente resa dalla “coralità” con la quale le armonie (e gli stridori) prodotti dagli stessi strumenti sono giustapposte, a creare un risultato talora spettrale.

In tal senso, le composizioni di Moult e le modalità secondo le quali dirige le esecuzioni del suo fidato quintetto conseguono effetti molto prossimi alle manipolazioni di note in chiave dronica. Tutto ciò avviene quasi esclusivamente attraverso l’impiego di una strumentazione reale, di volta in volta plasmata in forma di melodie cameristiche (in particolare nei primi due movimenti dell’iniziale “Apollo Winceleseia”), ovvero stratificate in iterazioni inquiete (il terzo movimento di “Apollo Winceleseia”, le torsioni di “Song For Mourie” e i placidi layers della conclusiva “Symbol Of An Infinite Past”).

In tutte le occasioni, Moult non si discosta in maniera tanto significativa dalla via di sperimentazione sugli archi intrapresa nelle sue opere più recenti (da ricordare anche il mini album “Suite For Tor Aluinn”), con un piglio personale e meno tortuoso di quanto si potrebbe immaginare, visto che il suo risultato sonoro, votato all’evocatività piuttosto che al romanticismo, non è sempre agevolissimo da decriptare. È del resto lo stesso autore a raccontare come questa sua ultima opera non sia discesa da qualche astratto concept accademico, ma da una sua casuale esperienza nei luoghi che ha inteso narrare in musica; l’effetto delle sue composizioni è, comunque, assicurato e non fa che aggiungere un conciso e straniante tassello nelle descrizioni del mistero e della magia della countryside britannica.

(pubblicato su ondarock.it)


http://richardmoult.com/

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