STONE JACK JONES – Ancestor
(Western Vinyl, 2014)
La solitaria figura avvolta dalla nebbia che campeggia sulla copertina di “Ancestor” può essere emblematica della storia umana e artistica di Stone Jack Jones, songwriter cresciuto in West Virginia in una comunità di minatori e in seguito vagabondo attraverso gli Stati centrali del Sud.
La sua musica ha assorbito la polvere della strada e di tante attività occasionali così come in gioventù aveva respirato vapori di carbone, fino all’incontro a Nashville con il produttore Roger Moutenot e con Kurt Wagner. Proprio quell’incontro ha gettato le basi per il suo ritorno discografico, dopo ben otto anni di silenzio trascorsi dall’iniziale accoppiata “Bluefolk” (2005) e “Narcotic Lollipop” (2006), realizzato proprio con la produzione di Moutenot e con la partecipazione di Kurt Wagner e di altri musicisti dei Lambchop.
I temi del viaggio e i paesaggi dell’America profonda ricorrono negli undici brani di “Ancestors”, frutto di un’elaborazione in equilibrio tra storie a volte anche piuttosto dure e una resa sonora lieve e misurata. Sotto il velluto di arrangiamenti misurati, che trasudano tuttavia di umori country-folk sudisti, si percepisce tuttavia la ruvidezza della vita di Jones, espressa dalla sua voce pastosa ed espressiva, resa roca da fumo e alcool.
Le sue scarne ballate fuori dal tempo lasciano trasparire tutta l’irrisolta inquietudine di una vita “on the road”, nonostante qualche passaggio più luminoso e vivace (il gospel di “Joy”); allora sono sufficienti il banjo dell’iniziale “O Child” o l’orchestrina country della seguente “Jackson” o ancora i soffusi echi di “Red Red Rose” e “Anyone” a permettere a Stone Jack Jones di dispiegare una classe melodica e una confidenza interpretativa che non passano affatto inosservate.
La ricchezza di soluzioni strumentali denota la straordinaria versatilità del timbro basso di Jones non solo nel muoversi su classici canovacci country-folk in penombra, ma nel rendere preziose ballate concepite secondo un umbratile registro cameristico, via via sviluppate in chiave jazzy, blues o anche semplicemente atmosferiche. Più che quelli in un certo senso “canonici“ sono anzi proprio i passaggi dalle strutture più essenziali a far rifulgere le doti espressive di Jones, che si discosta da tempi e movenze paragonabili a quelle del primo Lanegan per abbandonarsi alle atmosfere oblique e agli spettri della propria biografia, come nella splendida “Black Coal”.
Nei brani di “Ancestors” c’è infatti tutto Stone Jack Jones, la sua storia personale e le esperienze che, pur ottimamente filtrate e anzi esaltate dal nuovo contesto realizzativo, possono sintetizzarsi attraverso le sue stesse sommesse parole nella toccante “Way Gone Wrong”: “Here’s my story / Heaven I’m sorry”. Proprio questa premessa può essere il dolente biglietto da visita dell’intera poetica e della personalità di un songwriter dotato di una sensibilità di scrittura e interpretazione decisamente da (ri)scoprire.