MYRIAM GENDRON – Not So Deep As A Well
(Feeding Tube / Mama Bird, 2014)
“Lilacs blossom just as sweet
Now my heart is shattered.
If I bowled it down the street,
Who’s to say it mattered?
If there’s one that rode away
What would I be missing?
Lips that taste of tears, they say,
Are the best for kissing.”
Tra musica folk e poesia sussiste, in fondo, un legame più stretto di quanto si possa in superficie immaginare; tanto il poeta quanto il cantautore si misurano solo con se stessi, specchiando nelle parole o nelle note sentimenti e inquietudini in cerca di manifestazione esterna e pacificazione interiore. Non è del resto un cliché, bensì un dato di fatto, quello dell’artista tormentato e dimesso che attraverso chitarra e voce esprime quella che non a caso viene definita una propria “poetica”, in tutto e per tutto sovrapponibile a quella di chi scrive in versi.
Senza con ciò sminuirne il contenuto letterario, a una lettura ignara i versi riportati in epigrafe potrebbero apparire frutto del medesimo immaginario di una ballata folk, intrisa di simbolismo e malinconia: sono invece l’incipit di “Threnody”, prima delle poesie di Dorothy Parker messe in musica dalla giovane canadese Myriam Gendron per il suo album di debutto “Not So Deep As A Well“.
Scelta particolare e anche molto ambiziosa per un esordio, ma resa con sensibilità straordinaria da parte della Gendron, che con voce serica, austera e suadente al tempo stesso, e picking delicato e cristallino fa propri i testi della Parker, assorbendone tanto la dimensione di profonda introspezione quanto quella di spirito libero e fuori dagli schemi.
Il risultato è incredibilmente espressivo e misurato, improntato non soltanto alla riflessione ma dotato di palpitanti riflessi emotivi e non privo di spunti luminosi e relativamente vivaci. Realizzato in maniera domestica, “Not So Deep As A Well“ restituisce intatta un’atmosfera intima e ovattata, nella quale la Gendron stilla note e pregevoli armonie senza mai nemmeno sfiorare toni declamatori che lascino trasparire la natura dei testi cantati. C’è una naturalezza disarmante nel modo in cui la Gendron si riveste dei testi poetici, così come nella sua capacità di creare un contesto folk scarno, evocativo, moderatamente oscuro. Seppure gestisca in maniera equilibrata tonalità più brillanti e relativi uptempo (“The False Friends”, “The Red Dress”), l’artista canadese eccelle per capacità di suggestione in particolare nei passaggi più polverosi e oscuri, quelli nei quali sembra essersi cucita addosso le storie di cuori spezzati e la stanchezza della vita dell’outsider della Parker. “Ballade Of A Great Weariness”, “Solace”, “The Last Question” e altre ancora diventano così splendide ballate di un folk spettrale, rifulgendo di rinnovata luce nel nuovo formato.
Benché sia lecito attendere la Gendron alla prova di una scrittura originale era dai tempi delle “Songs From The Cellar” di Carol Anne McGowan che non ci si imbatteva in un debutto di così espressiva essenzialità.
Il disco è per ora pubblicato in sole trecento copie in vinile tramite Feeding Tube e in formato digitale da Mama Bird, etichetta che dopo quelli di Barna Howard e Vikesh Kapoor nell’ultimo biennio, con Myriam Gendron dimostra nuovamente grande attenzione per validissimi debutti folk, questa volta al femminile.
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