dylan_shearer_garagearrayDYLAN SHEARER – Garagearray
(Empty Cellar / Castle Face, 2014)

Con alle spalle oltre un lustro di attività discografica da outsider da cameretta, il californiano Dylan Shearer trova in Petey Dammit (Thee Oh Sees) e Noel von Harmonson (Comets On Fire) supporto e probabile fonte di maggiore visibilità per la sua declinazione introspettiva e visionaria di un cantautorato sospeso in una magica dimensione atemporale.

“Garagearray” è il terzo lavoro dell’artista di San Francisco, che al di là di un’impostazione più organica e professionale, non si discosta in maniera sostanziale da quanto già dimostrato nei precedenti “Planted/Plans” (2009) e “Porchpuddles” (2011): la sua vocazione alla leggerezza di una distante psichedelia e a quella di melodie distillate dal tuo timbro basso e serafico fioriscono infatti nelle undici tracce del disco in un formato acustico cadenzato da ritmiche comunque lente e sfumate.

I contorni delle canzoni di Shearer sono appunto in ampia prevalenza piacevolmente indefiniti, le figure delineate con pochi tratti impressionistici, ma più che sufficienti a conferire loro un’identità riconoscibile oltre la patina di opacità determinata da una varia combinazione di uno strato di polvere desertica, del naturale affievolimento dei colori in ragione del trascorrere del tempo e di un generale stato di lieve alternazione percettiva.

Inevitabile, in particolare di fronte al lieve stato di trance degli episodi più essenziali (“Meadow Pines (Fort Polio)”, “Baggage Claim”), pensare all’eredità di Syd Barrett, magari filtrata da un dolente spirito contemporaneo alla Elliott Smith (“Before You Know It (It’s Over)”). L’articolata struttura compositiva di “Garagearray” vede tuttavia Shearer e i musicisti che nell’occasione lo accompagnano dedicarsi a una scorrevole formula pop, avvolta in un caleidoscopio che rivela tinte beatlesiane leggermente acide (“Encore Door (The Validity in Dying)” e “Everyone Accept You”) con la stessa naturalezza con la quale libera fragili palpitazioni pianistiche (“Barely By The Waterside”).

Le interpretazioni trasognate di Shearer, adeguate e imperturbabili tanto nelle placide ballate acustiche che quando l’impianto ritmico arricchisce le canzoni di pronunciato brio, e la spontaneità della sua scrittura melodica fanno così di “Garagearray” un piccolo gioiello di cantautorato pop psichedelico, asciutto, brillante e versatile, capace di accompagnare in un viaggio di una quarantina di minuti in una dimensione aliena che riserva ad ogni passo sentori sorprendenti.

https://www.facebook.com/dylanshearerer

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