haunt_the_house_jack_rabbit_jonesHAUNT THE HOUSE – Jack Rabbit Jones
(75 Or Less Records, 2013)

Quella di Jack Rabbit è una storia che, per trama e modalità narrative corali, si colloca nell’alveo della tradizione popolare americana. C’è il duro lavoro della prima civiltà industriale, il disagio mentale e l’amore nella rappresentazione a più voci di “Jack Rabbit Jones”, scritta e diretta dal cantautore del Rhode Island Will Houlihan, il cui progetto Haunt The House si è trasformato per l’occasione in una piccola orchestra folk che ne amplifica le doti esecutive (chitarra e armonica), aggiungendo varietà strumentale (mandolino, fisarmonica, contrabbasso) e pluralità interpretativa speculare ai caratteri che si avvicendano sull’ideale palcoscenico sul quale le tredici canzoni del lavoro sono idealmente messe in scena.

Tra quelli degli attori protagonisti, spicca il nome di Allysen Callery, cantautrice e in qualche misura scopritrice di Houlihan, con il quale ha spesso condiviso esibizioni dal vivo nel nord-est statunitense. Presente in maniera evidente negli intrecci vocali di tre brani, la Callery impersona la bella della vicenda, Prairie Jones, oggetto del desiderio di entrambe le parti della duplice personalità di Jack Rabbit. Tutti i brani sono impostati in forma di dialoghi tra i protagonisti della vicenda e le loro diverse personalità, secondo una plastica impostazione teatrale, che tuttavia non aggrava la fruizione di una narrazione comunque scorrevole, alla quale l’avvicendarsi di voci e strumenti conferisce invece pregevole dinamismo.

Dal punto di vista più strettamente musicale, il registro di Houlihan e soci si colloca nell’alveo di un folk estremamente classico, del resto coerente con l’ambientazione delle vicende narrate nel Midwest della fine del diciannovesimo secolo. Eppure, il tono da troubador di Houlihan appare sempre lieve e duttile, tanto nei vivaci passaggi orientati a un country-western più romanzesco che polveroso (l’iniziale “Mosquito Coast”, “Burial Waltz”), quanto in dolenti ballate esaltate dagli archi o dall’armonica (“Jealous Vow”, “You’ve Disappeared”, “Arrow”). La pluralità di caratteri di “Jack Rabbit Jones” viene poi coerentemente rispecchiata dalla sua impostazione corale, che proprio nei duetti con Allysen Callery (quali “Little Bird” e “Ease Your Troubled Mind”) trova ampiezza di respiro e contenuti suggestivi tali da far scolorare il sapore antico del folk di Houlihan in qualcosa di niente affatto anacronistico ma solo piacevolmente fuori dal tempo.

Alla fine del racconto, resta dunque la sensazione di un lavoro in perfetto equilibrio tra contenuti letterari risalenti e modalità comunicative che trascendono il semplice revival folk che di recente ha investito ampia parte del mondo indipendente statunitense. Quello disegnato da Will Houlihan è invece un mondo autentico, fotografato con fedeltà, doti di scrittura e una sensibilità nel dosare gli elementi di una vera propria compagnia di artisti, che in “Jack Rabbit Jones” ha portato in scena una delle tante storie che fanno del linguaggio folk contemporaneo un coerente anello di congiunzione tra antico e moderno.

https://www.facebook.com/pages/Haunt-the-House/

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.