hiss_golden_messenger_lateness_of_dancersHISS GOLDEN MESSENGER – Lateness Of Dancers
(Merge, 2014)

Procede ad ampie falcate la produzione di Michael C. Taylor, al pari dell’ascesa nella considerazione di critica e pubblico del suo progetto Hiss Golden Messenger, fino a qualche tempo fa confinato poco più che al rango di culto per appassionati di un cantautorato avvolto da una duplice patina di polvere, quella stratificata dal tempo sui linguaggi espressivi dell’ovest e del sud degli Stati Uniti e quello dei contesti casalinghi o comunque rudimentali nei quali i suoi frutti venivano registrati ed eseguiti dal vivo.

“Lateness Of Dancers”, in tal senso, dischiude nuovi orizzonti a Taylor, al primo disco con un’etichetta di prima grandezza quale Merge e dunque al completamento di una parabola artistica che nel nuovo album trova una delle manifestazioni più organiche e solari. Ideale corrispettivo delle cupezze del disco dello scorso anno “Haw”, “Lateness Of Dancers” ne prosegue la linea narrativa ispirata a suggestioni letterarie in dieci brani i cui contorni southern gothic si sciolgono sotto il sole di highway desolate, che fungono da quinte di solitarie meditazioni più che di avventure stereotipate.

Accanto a Taylor e al fido Scott Hirsch, stavolta compaiono Phil e Brad Cook dei Megafaun e soprattutto William Tyler, i desertici paesaggi del cui picking aggiungono colore e calore al pastoso baritono del songwriter californiano. Grazie al loro apporto, ma anche a quello di altri musicisti (tra i quali merita una citazione Alexandra Sauser-Monnig dei Mountain Man in funzione di lieve seconda voce), Hiss Golden Messenger assume le sembianze di una band organica, che filtra linguaggi antichi attraverso una sensibilità contemporanea in grado di tornare a solleticare i palati “indie” che hanno tardivamente scoperto la musica di Taylor. Oltre alle sue interpretazioni appassionate e talora persino ruvide, ad agevolare il conseguimento di tale risultato è quella sottile linea che “Lateness Of Dancers” traccia tra cantori storici come Dylan e Van Morrison, il west dei Calexico e il sud di Kurt Wagner, riempiendo di lirismo ballate folk quali la title track e “Day O Day (A Love So Free)” o innervando di un blues dal sapore antico, particolarmente evidente in “Saturday’s Song” e “Southern Grammar”, il naturale timbro soul delle interpretazioni di Taylor.

Del resto, se quella del soul è la (ri)scoperta attualmente più in auge nel mondo “indie”, Michael C. Taylor ne incarna il prototipo senza nessuna forzatura, anzi con una capacità di sintesi tra linguaggi espressivi che, pur a fronte di una scrittura non sempre brillante, ne rende densa e immediata la proposta.


https://www.facebook.com/HissGoldenMessenger

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