weyes_blood_the_innocentsWEYES BLOOD – The Innocents
(Mexican Summer, 2014)

La militanza in qualità di bassista nei Jackie-O Motherfucker e la collaborazione con Ariel Pink non sono certo credenziali di esperienza comuni per una cantautrice. Non è un caso, infatti, che quello di Natalie Mering non sia un songwriting convenzionale, ancorché niente affatto alieno da una matrice folk, comunque riveduta e sviluppata in una varietà di forme preziose e mutevoli.

Nel suo secondo album sotto l’alias Weyes Blood – dopo una serie di cassette e cd-r autoprotti a nome Weyes Bluhd – l’artista newyorkese rinuncia in maniera sostanziale alla coltre di riverberi e drone nella quale aleggiava ancora il precedente “The Outside Room” (2011), senza tuttavia abbandonare la propria propensione sperimentale, espressa nella ricorrenza di esili distorsioni e detriti elettronici che gravitano saltuariamente intorno alle sparse armonie di pianoforte e chitarra che costituiscono lo scheletro di gran parte dei dieci brani di “The Innocents”.
Toccante immediatezza e candore espressivo, oltre a una narrazione dagli espliciti riferimenti letterari, connotano la maturazione cantautorale della Mering, che va di pari passo con i rimodellamenti di una pluralità linguaggi musicali tradizionali – non solo inglesi e americani – attraverso l’azione congiunta di una sensibilità compositiva non dimentica dell’inclinazione sperimentale e di interpretazioni rese evocative e austere dall’intensa profondità di un timbro vocale che non passa certo inosservato.

Anche da tale punto di vista, la Mering dimostra di essere qualcosa di diverso da una classica folksinger, nonostante le strimpellate acustiche con le quali si apre l’iniziale “Land Of Broken Dreams” potrebbe fare pensare altrimenti. È sufficiente l’inarcarsi della sua voce e la tesa torsione corale nel finale dello stesso brano a dischiuderle una dimensione sonora più articolata, che spazia con disinvoltura da lieder dall’arcano gusto medievale (“Requiem For Forgiveness”, “Bound To Earth”) a passaggi di elegante immediatezza dalle potenzialità persino pop (“Ashes” e, soprattutto, “Hang On”).

Il profilo narrativo e quello sperimentale si ricombinano in continuazione nel corso del lavoro, sostanziandosi ora nella magia sospesa della sognante “Some Winters”, ora nell’obliquo misticismo folk di brani quali “Bad Magic” e “February Skies”, mentre le nebbiose irregolarità droniche dell’interludio strumentale di tre minuti “Montrose” riportano in superficie la testimonianza di un retroterra comunque ancora ben vivo e presente, che arricchisce l’odierna dimensione della Mering esaltandone i caratteri di una personalità già spiccata e decisamente fuori dall’ordinario cantautorale.

https://www.facebook.com/pages/Weyes-Blood/

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