TOMO NAKAYAMA – Fog On The Lens
(Porchlight, 2014)
Non sono le atmosfere a presentare caratteri di opacità, ma è l’occhio di chi guarda – dell’artista che interpreta la propria visione – a essere dotato del naturale appannamento determinato dalla miopia, che induce a un’osservazione della realtà sfocata, a suo modo persino affascinante e rilassata.
Risulta fin troppo facile intendere in tal senso, coordinandolo con contenuto e copertina, il significato del titolo del debutto solista di Tomo Nakayama, cantautore proveniente da Seattle dalle chiare origini giapponesi, che ha trascorso quasi dieci anni alla guida della locale band chamber-pop Grand Hallway.
L’aura vagamente cinematica e la ricercata assenza di definizione dei contorni di gran parte sono tratti caratterizzanti dei dieci brani di “Fog On The Lens”, nei quali Nakayama mette in mostra una scrittura sottilmente malinconica e un’estrema delicatezza di esecuzione, entrambe amplificate dalle sue doti di polistrumentista in grado di alternare pianoforte e tastiere alla guida delle sue canzoni, catturate in presa pressoché diretta e appena rifinite in sede di missaggio da parte del produttore Yuuki Matthews (The Shins).
Ulteriore elemento decisivo nella resa sonora di “Fog On The Lens” è il fatto di essere stato registrato in maniera analogica in una delle ampie sale della Town Hall, spazio museale nel quale Nakayama ha svolto un periodo di residenza artistica nel corso dell’ultimo anno. Il luogo di registrazione ha rivestito un ruolo decisivo nell’elaborazione del lavoro, poiché il contrasto della sua architettura neoclassica con il moderno skyline di Seattle è il medesimo della definizione che lo stesso Nakayama fornisce del disco, le cui canzoni “da cameretta” hanno invece preso forma in spazi dalla dimensione paragonabile a quella di una cattedrale.
È proprio questa la cifra di “Fog On The Lens”, che distilla paesaggi nebbiosi attraverso le risonanze generate dall’ampiezza del contesto di realizzaone, in qualche modo affine nel risultato a quello di un altro recente lavoro registrato in un contesto inusuale, lo splendido “Poolside” di Ezza Rose.
Echi sonori come fragili coltri di rugiada rivestono le canzoni di Nakayama, che si tratti (in prevalenza) di raccolte ballate al pianoforte quali l’intensa title track d’apertura e “Darkest Of Seasons”, di aperture a una coralità orchestrale minimale e comunque dimessa (“Magnolias (For Philip)”) o di armonie atmosferiche dalle sfumature soul (“Nightingale” e “Open Room”). Anche in questi ultimi passaggi, la predominante sintetica appare tuttavia diluita dal lirismo dell’alto timbro vocale di Nakayama e da un avvolgente alone cinematico, che rivela una diretta discendenza dalla sua esperienza nella composizione di musica per colonne sonore.
L’opacità concettualmente connaturata alle canzoni di “Fog On The Lens” non rappresenta dunque una sovrastruttura né una finalità espressiva, bensì soltanto il mezzo, l’esile diaframma attraverso il quale Tomo Nakayama osserva il mondo e i sentimenti, restituendone le sue visioni di ovattata delicatezza.