VAGUE – Tempdays E.P.
(Siluh, 2015)
Mentre sembra aver smarrito parte dello slancio iniziale l’ondata revivalista pop-wave che aveva trovato il proprio fulcro nell’etichetta americana Captured Tracks, non accenna a diminuire la passione e la curiosità per quella temperie artistica, sviluppatasi tra anni ’80 e ’90, da parte di tanti giovani musicisti in giro per il mondo.
Non si tratta nemmeno più di reminiscenze di un periodo vissuto, quanto piuttosto di suggestioni per un’estetica tutta da scoprire: lo dimostrano, da ultimi, cinque ragazzi viennesi poco più che ventenni, che non fanno mistero di aver riempito gli scaffali delle proprie camerette dei dischi di etichette di culto quali la Flying Nun e la Sarah Records. Il precipitato sonoro di quegli ascolti trova prima dimostrazione nell’Ep di debutto della loro band denominata Vague, cinque canzoni trepidanti di malinconia, nelle quali chitarre effettate e tastiere sostengono melodie trasognate, avviluppate da un velo di tenebra che combina l’estetica dark-wave con un’austerità tipicamente mitteleuropea.
Le cinque agili canzoni di “Tempdays” si muovono così tra i feedback prominenti dell’iniziale “Nothing Again” e le pulsanti ritmiche sintetiche, tra Joy Division e primi Cure, di “Black Sheep”, senza tralasciare la languida indolenza di riverberi dal… vago sentore jangly (“Take It Still”) e soprattutto una vena pop che nulla ha da invidiare, ad esempio, alla freschezza del primo Wild Nothing. La sbarazzina “Vain City” e la visionaria “Space Addict” sono infatti due piccoli gioielli pop non animati da mera nostalgia, ma coerenti omaggi a codici stilistici introiettati nella loro essenza e sviluppati con capacità di scrittura pop tali da indurre a individuare nella band austriaca nuovi credibili interpreti di un’estetica che trascende il semplice revivalismo.