jose_gonzalez_vestiges_and_clawsJOSÉ GONZÁLEZ – Vestiges & Claws
(Peacefrog / Mute, 2015)

Otto anni di attesa costituiscono un periodo talmente lungo da poter far mutare la percezione di un artista e maturare la sua forma espressiva. Tanto è trascorso da “In Our Nature”, secondo disco solista di José González, nonché quello che gli ha dischiuso platee più vaste rispetto a quelle del fulminante esordio “Veneer”. Nel frattempo, il songwriter svedese di origine argentina ha concentrato le proprie forze in particolare sul progetto Junip, senza tuttavia mai smettere di dedicarsi, con la pazienza e la cura certosina dell’amanuense, alla scrittura di nuove canzoni.
Numerosi passi di “Vestiges & Claws”, l’esito di questo lungo processo creativo, si richiamano infatti all’immagine e all’essenza stessa della scrittura e dei suoi elementi costitutivi ed accessori (inchiostro, libri, storie…) attraverso temi e titoli di alcuni dei brani in esso contenuti che, restando in metafora, potrebbero considerarsi quali racconti prodotti da una penna sensibile nel corso di un periodo di tempo talmente lungo da rendere difficile coglierne l’organicità.

Da “Vestiges & Claws” la figura di González risulta più vicina a quella di un autore da racconto breve che non a quella del romanziere, non per una carenza di omogeneità narrativa quanto piuttosto per la sostanziale autosufficienza di tutte le dieci tracce in esse ricomprese. Vi sono comunque elementi caratterizzanti il lavoro, individuabili in un generalizzato ritorno alla dimensione più intima ed essenziale di “Veneer”, nella perdurante attenzione per gli aspetti dinamici delle composizioni e nel calore gentile del picking dell’artista svedese, che disegna placidi arabeschi acustici, sui quali il suo timbro serafico scivola con una levità che appare un misto di contemplazione e palpitazione emotiva.

A fronte dei disadorni dialoghi tra chitarra e voce di pezzi quali l’iniziale “With The Ink Of A Ghost”, “Every Age” e “Vissel”, non manca tuttavia nel corso dell’album una varietà di soluzioni strumentali, che rivestono le canzoni di González di sfumature persino imprevedibili. Quest’ultimo è il caso, in particolare, delle inopinate pulsazioni danzanti di “Let It Carry You”, mentre altrove i corollari strumentali sono utili ad amplificare in maniera coerente il contenuto dei brani, come avviene in maniera pregevole con i fiati che conferiscono un’aura piacevolmente bucolica agli arpeggi leggiadri di “The Forest” e con le ritmiche che alimentano il battito vitale della coinvolgente “Afterglow”.

Altrove, è invece proprio come se nella scrittura e nelle interpretazioni di González latitasse almeno in parte quel pathos che ne ha reso avvincenti le prime manifestazioni, in luogo del quale in “Vestiges & Claws” si ritrova una certa autoindulgenza a una forma ormai consolidata e divenuta meno caratteristica nel corso dei lunghi anni trascorsi da “In Our Nature”. Più che il calore latino e le dinamiche del picking, di González resta infatti adesso da apprezzare in particolare la dimensione più umbratile e la schiettezza con la quale racconta le proprie storie, entrambe riassunte, oltre che dai brani più scarni e dimessi sopra citati, dalla conclusiva “Open Book”, emblema di come quello di “Vestiges & Claws” sia appunto un “libro aperto”, costituito da racconti disomogenei, almeno alcuni dei quali, però, ancora genuinamente appassionanti.


http://www.jose-gonzalez.com/

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