MUTE FOREST – Infinity Pools E.P.
(Lost Tribe Sound, 2015)
Ancora una nuova veste, adesso integralmente solista, per Kael Smith, già mente di Khale e dei Mombi: la denominazione Mute Forest ne rispecchia il legame con il mondo naturale, tuttavia declinato in senso non meramente descrittivo-ambientale.
Dei tratti distintivi della precedente esperienza di Mombi, i quattro brani dell’Ep “Infinity Pools” ripropongono le sfumate cadenze elettroniche e il cantato soffice e trasognato dell’artista del Colorado, che nella solitudine del suo rinnovato contesto espressivo espande la notturna malinconia di canzoni la cui sottile introspezione è filtrata e anzi arricchita da battiti elettronici ipnotici, interpolati con samples, riverberi e anche filigrane acustiche. È la formula con la quale i diciotto minuti di “Infinity Pools” – premessa di un album già annunciato per i prossimi mesi – si aprono tra le oscillazioni e le melodie cullanti di “Crypt”, rifinite da gentili pizzicate di corde di nylon.
La grana di Mute Forest permane tuttavia essenzialmente elettronica, secondo un registro affine a quello di Benoît Pioulard, morbido e avvolgente in “Volcanoes Flowing”, scandito da percussioni oblique e dai vocalizzi incorporei di Kelly O’Brien nella title track e nuovamente ricamato da esili trame acustiche nella conclusiva “Eat The Skin”, il cui substrato dilatato appare il portato della sua iniziale natura di remix di una recente composizione di A Winged Victory For The Sullen.
Il placido timbro di Smith e le sue melodie sottovoce identificano l’essenza di Mute Forest, che unisce elettronica e ambientazioni atmosferiche a un’apprezzabile songwriting, dimostrando come non vi sia alcuna antinomia tra scrittura introspettiva e linguaggi elettronici al tempo stesso dilatati e pulsanti.