PRAM – Sargasso Sea
(Too Pure, 1995)
Tiepidi venti tropicali soffiavano sulle Midlands all’inizio dell’estate del 1995; provenivano dal cuore dell’Oceano Atlantico, dal punto di quella enorme distesa d’acqua caratterizzato da un particolare tipo di alga e, soprattutto, privo di precisi confini geografici chiamato Mar dei Sargassi. Poche altre metafore potevano identificare e rendere in maniera altrettanto fedele il contenuto di un disco che nell’assenza di confini stilistici trova, appunto, il suo elemento maggiormente caratterizzante.
Si tratta del terzo album dei Pram, band di Birmingham originariamente dedita alla moderna rideclinazione dei canoni progressive e applicatasi in seguito a un minimalismo sempre più spiccato, nel quale proprio in “Sargasso Sea” veniva attratto un microcosmo pulsante di fremiti ritmici, impulsi analogici e spunti jazz, il tutto all’insegna di un trasognato registro dai contorni latamente pop.
Del resto, il contesto temporale nel quale l’album si colloca era particolarmente ricco di stimoli, popolato da una freschezza creativa che induce a individuare nel modernariato degli Stereolab, nel post-rock lounge jazzistico dei Tortoise e nelle cadenze spezzate dei Portishead i punti cardinali dell’estetica della band guidata dalla voce sottile e ipnotica di Rosie Cuckston.
Tutto questo e molto altro ancora si ritrova nei tre strumentali e nelle sette “canzoni” di “Sargasso Sea”, plasmato secondo infinite combinazioni che conferiscono al risultato finale tratti indefiniti e sfuggenti, proprio in ossequio a quell’idea di superamento dei canoni fino a quel momento invalsi nella musica rock e pop che ha caratterizzato fortemente la prima metà degli anni Novanta.
L’applicazione di tale obiettivo da parte dei Pram porta da un lato all’introduzione nei loro brani di elementi sonori “alieni” e dall’altro a una ricerca su tempi e incastri armonici in grado di coniugare approccio free e rigore orchestrale. Sotto il primo aspetto, oltre a una miriade di giocosi effetti analogici, “Sargasso Sea” contiene accenti di un tropicalismo liquido, sfumato da caldi suoni di tromba protagonisti di code oblique (“Loose Threads”, “Crooked Tiles”) o di strumentali che manifestano l’impronta jazz della band (“Cotton Candy”, “Crystal Tips”), via via sempre più destrutturata (“Sea Swells And Distant Squalls”). Il maniacale lavoro sulle cadenze, conferisce invece a quasi tutti i brani del lavoro una metronomia straniante tanto più evidente quanto invece lineari e invariate sono le melodie vocali della Cuckston. Nascono così canzoni sospese, dal fascino alieno, ricamate da segmentazioni “stop and go” (“Little Scars”) e da tempi dispari, che le rendono ipnotiche e dolcemente avvolgenti (“Serpentine” e “Earthing And Protection”).
Sono questi, in sintesi, i passaggi maggiormente rappresentativi della particolarissima estetica conseguita dai Pram in un lavoro che, a vent’anni esatti dalla sua pubblicazione, rimane un catalogo infinito di dettagli sonore da scoprire ma soprattutto la testimonianza mirabile di ibridazione tra una pluralità di linguaggi, frutto di ricerca intellettuale ottimamente bilanciata con la dolcezza di melodie aliene e di fremiti molto, molto vicini a quelli più intimi del cuore.