LAKE MARY – And The Birds Sing In Chorus First
(Eilean, 2015)
L’estate dell’etichetta francese Eilean è segnata dal calore delle note delle chitarre acustiche; a doppiare la digressione rispetto alle abituali sperimentazioni neoclassico-ambientali costituita dallo splendido “Pendel”, provvede la nuova opera del californiano Chaz Prymek, ormai da anni prolifico interprete del fingerpicking sotto l’alias Lake Mary.
In maniera parzialmente difforme rispetto al parallelo lavoro firmato Yadayn, “And The Birds Sing In Chorus First” si presenta, almeno nelle premesse, come una raccolta di composizioni più aderenti ai canoni classici del fingerpicking. Ne è prova evidente, oltre al dominio pressoché assoluto della corde acustiche nello sviluppo dei suoi sei brani, la stessa apertura del lavoro con le filigrane armoniche dolcemente ordite di “The Sudden Bruise Of A Rainstorm”, che si innestano nel solco di una tradizione esecutiva che pure Prymek dimostra da subito di non voler circoscrivere al solo virtuosismo.
Nei suoi brani vi è, infatti, una spiccata attitudine descrittiva, un accurato dosaggio di tempi tra le note, che nel corso dell’album si fanno via via più rarefatte, giustificandone appieno l’inclusione in un contesto produttivo funzionale alla creazione di un’ideale mappa sonora. Prymek passa così dall’ascetismo dai tratti arcani e vagamente orientali dispensato lungo gli oltre dodici minuti di “Solitary Trees Marked Distant Hills Like Obelisks” a un approccio atmosferico fatto di sospensioni e morbidi snodi compositivi (“Chipa : North Dakota” e i tredici minuti “Whatever The Light Touched Became Dowered A Fantastical Existence”), fino ai radi accordi risonanti nel silenzio della conclusiva “Gather”.
Tecnica d’esecuzione e resa sonora di “And The Birds Sing In Chorus First” risultano dunque del tutto coerenti con le premesse che ne hanno ispirato i brani, tutti legati a dati esperienziali sperimentati da Prymek e tradotti in pennellate acustiche placide, che di luoghi e paesaggi attraversati o vissuti per un breve periodo restituiscono il senso di un’impermanenza, appunto, atmosferica.