WIL BOLTON – Inscriptions
(Dronarivm, 2015)
Un suono catturato per caso qualche tempo fa, il ricordo di immagini cristallizzate nella memoria, le sensazioni sulla pelle dei brividi prodotti dalle prime folate d’autunno: queste le premesse e il contenuto di “Inscriptions”, secondo album annuale del prolifico Wil Bolton, tessitore di trame ambientali non a caso spesso popolate di tiepidi languori autunnali.
Tutto ciò è sensibilmente amplificato nei cinque brani che formano il lavoro, appunto esplicitamente dedicato alla duplice tematica dell’autunno e del ricordo, per certi versi due facce della stessa medaglia, modellata a partire da un field recording ambientale attraverso il consueto catalogo di timbriche e modulazioni chitarristiche, al quale si aggiungono nell’occasione loop acustici ricavati da vecchi dischi trovati per caso in mercatini di beneficenza.
Si tratta, per certi versi, di un’operazione “hauntologica”, tuttavia intesa da parte dell’artista inglese solo come il primo momento per l’elaborazione di una più ampia tavolozza sonora creata ex novo. Quei loop acustici, dei quali affiorano piuttosto le irregolarità granulose, sono diventati la base sulla quale Bolton ha costruito cinque tracce volte a rispecchiarne la natura originaria, con note stillate da corde acustiche e frammenti pianistici sostenuti da stratificazioni sintetiche a dominare lunghi piani sequenza che suggellano, appunto, la persistenza della memoria attraverso il suono.
Ne risulta un viaggio di tre quarti d’ora attraverso dense saturazioni ambientali appena ricamate da risonanze acustiche (la title track e “Hedera”) e sviluppate in frequenze maestose (“Cathedral”). In parallelo, Bolton lavora sulle sue composizioni per sottrazione, sublimandole nei drone luminosi della conclusiva “Limestone”, ovvero crea armonie decise come quelle prodotte dai arpeggi cristallini e disadorni sullo sgranato fondale di “Seep”.
In entrambi i casi, i graduali snodi dei brani, le miniature acustiche e i suoni catturati o riprocessati da altri tempi e altri luoghi non fanno che esaltare i contenuti romantici dell’ambience di Wil Bolton, come non mai intrisa di calore umano e della palpitante nostalgia di ogni autunno, atmosferico e dell’anima.