advance_base_nephew_in_the_wildADVANCE BASE – Nephew In The Wild
(Orindal, 2015)

C’era una volta Casiotone For The Painfully Alone, progetto che per una decina d’anni aveva rappresentato un piccolo culto indipendente per la sua associazione tra songwriting e pulsante dimensione analogica; oggi – anzi, ormai da qualche tempo – c’è Advance Base, reincarnazione sotto forma di una scrittura cantautorale in apparenza “normalizzata” e, quindi, probabilmente meno abboccata per il palato indie.
Eppure, non solo il responsabile di entrambi i progetti è il medesimo, Owen Ashworth dal Michigan, che nel passaggio tra le sue due identità e nel correlativo trascorrere del tempo ha senz’altro affinato la pratica di un songwriting ormai maturo, che per esprimersi al meglio non necessita più di corollari ad effetto.

Lo dimostrano appieno le dieci canzoni di “Nephew In The Wild”, secondo lavoro di Ashworth sotto la nuova pelle (tre anni dopo “A Shut-In’s Prayer”), scaturito da un’elaborazione casalinga che con la precedente identità condivide un’immediatezza lo-fi, adesso risultante da registrazioni avvenute negli scantinati della casa di Ashworth, poco fuori Chicago. Non si tratta, tuttavia, di una raccolta di ruminazioni solitarie, non solo per i numerosi e importanti collaboratori che hanno partecipato al disco (dall’originaria compagna d’avventura Jody Weinmann a Howard Draper degli Okkervil River, fino al cammeo alla chitarra di Mat Sweet nella title track), ma per la lieve poetica di Ashworth e per l’universalità degli argomenti tratti, che non mancano di includere nuovamente tematiche natalizie.

Nella sua consolidata veste cantautorale, Ashworth rinuncia in maniera definitiva agli aspetti ritmici della sua precedente incarnazione, ma non anche all’impiego di synth sfumati e tastiere analogiche, tuttavia impiegate soltanto quale sfondo ovattato di canzoni, invece, pienamente coerenti con i migliori solchi della recente tradizione cantautorale americana. Sarà per il calore del timbro vocale di Ashworth e per le sue interpretazioni vellutate, più volte nel corso di “Nephew In The Wild” si susseguono immagini di artisti quali Damien Jurado, John Darnielle o addirittura Mark Kozelek, sfumate nei contorni e temperate dalla personalità di Ashworth e da un lirismo capace di regalare fragili ballate in penombra, quali in particolare “Pamela”, “Summon Satan” e la title track, e ancora spunti di divertita delicatezza rifiniti da screziature analogiche come quelli di “Christmas In Dearborn” e “My Love For You Is Like A Puppy Underfoot”.

Tutto ciò non sarà forse sufficiente ad accreditare ancora la figura di Ashworth nell’immaginario indie, ma rappresenta al meglio la sua nuova dimensione espressiva, intima e densa di calore umano, che è un vero piacere (ri-)scoprire.

http://www.advancebasemusic.com/

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