DROMBEG – Earthworks
(Futuresequence, 2016)
Benché “Earthworks” sia a tutti gli effetti un debutto sulla lunga distanza, non nuovo agli appassionati della musica ambientale più rarefatta ed emozionale è il suo autore, l’irlandese Thom Brookes, che già lo scorso anno si era segnalato con l’ottimo Ep “Notes From The Ocean Floor”.
Decisamente più articolato e ambizioso l’itinerario sonoro proposto dall’artista che pubblica le proprie creazioni sotto l’alias Drombeg, nell’occasione fortemente ispirato dai luoghi dell’Irlanda rurale nei quali è nato e tradotto in undici pièce nelle quali le varie sfumature di un’ambience orchestrale convivono con armonie pianistiche e frequenze finissime, che seguono modulazioni dai moti convettivi lenti ma costanti.
Il legame con la densità della materia è infatti evidente nelle pur rarefatte composizioni ambientali di Brookes, che muovono da strati di esili drone per aprirsi a una dimensione armonica, veicolata dalle note del pianoforte, che ricamano piccole gemme neoclassiche come “Cesair’s Landing” e “Lunula” o diradano le ombre dei più cupi drone di “Handfuls Of Clay” e “There Has To Be A Heaven”. È tuttavia nei passaggi più ariosi dal punto di vista compositivo che si manifestano gli aspetti di maggior coinvolgimento di “Earthworks”, riassunti nella maestosa coralità orchestrale di “Each Morning, A Miracle Of Colour” e di “The Way Love Emerges”, oltre che nel crescendo moderatamente epico di “A Thousand Nights”.
Lineare nello sviluppo ed essenziale negli elementi costitutivi, “Earthworks” risulta lavoro dall’ampio respiro cinematico-emozionale che, confermando la non comune capacità compositiva di Brookes, eleva Drombeg tra i progetti di ambient orchestrale più completi e suggestivi.