GIULIO ALDINUCCI – Yellow Horse
(manyfeetunderconcrete, 2015)
Quanti gradi di separazione sussistono tra il soundscaping e la musica ambient propriamente detta? E chi pratica quest’ultimo, si dedica a un esercizio intellettuale che, come tale, espunge dai propri orizzonti il contenuto emozionale?
La mezz’ora di “Yellow Horse” potrebbe fungere da risposta esaustiva a entrambi i quesiti: al primo, perché la sequenza di field recordings e frequenze analogiche e digitale in essa contenuta può ben considerarsi una declinazione spiccatamente sostanziale delle astrazioni ambientali, al secondo perché si tratta di un viaggio a ritroso nel tempo, nella memoria personale dell’artista toscano, che ha raccolto o creato i suoni giustapposti nella lunga traccia nel corso di una ricerca durata ben dieci anni.
Correlato ai più recenti lavori ambientali di Giulio Aldinucci, “Yellow Horse” presenta natura sostanzialmente diversa, almeno nella superficie di una trama che si sviluppa attraverso incastri meccanici, frammenti di dialoghi cristallizzati in un tempo alieno, effetti sintetici e stranianti apici distorsivi. Eppure, in particolare l’ultimo quarto della traccia unica dipana l’intricata matassa sonora in florilegio di iterazioni sature e fremiti cadenzati, che incidono nella memoria un itinerario sonoro enigmatico, parallelo e intimamente legato a una biografia personale e artistica, come tale esemplificativo di un sentito percorso di ”hauntologia” individuale.