UNIFORM MOTION – 5
(Self Released, 2016)
Nell’ideale striscia a fumetti degli Uniform Motion, il quinto capitolo della loro avventura autoprodotto presenta una trama svelta e avvincente, il cui intreccio non rinuncia tuttavia a tratti di matita più lievi e dai contorni sfumati. La metafora è pressoché scontata trattando della band creata in Francia dal songwriter inglese Andy Richards, del cui profilo ha sempre fatto parte integrante l’aspetto visuale curato da Renaud Forestie; così avviene anche in “5”, che fin dai colori pastello della copertina suggerisce un parziale ritorno a una dimensione più morbida rispetto alla chiassosa policromia del precedente “The Magic Empire” (2013).
Certo, i tempi del delizioso “One Frame Per Second” (2011) restano lontani, poiché rispetto alla delicatezza folk-pop di quel lavoro la band ha ormai definitivamente irrobustito le proprie canzoni di chitarre elettriche e ritmiche decise, che tuttavia nei dieci nuovi brani convivono da un lato con un ariosa fluidità armonica e dall’altro con acquerelli di ritrovata limpidezza bucolica.
Eppure, l’incipit del lavoro, con l’incalzante – e riuscitissima – popsong “False Start” sembrerebbe non deviare di molto dai binari espressivi del predecessore, affinandone soltanto la scrittura; sensazioni analoghe si ricavano dalla lunga cavalcata elettrica di “I Don’t Know You” e dal frizzante passo pop di “I Don’t Know A Thing” e di “The White Shirt”. Invece “5” si rivela via via un album estremamente vario, che vede la band anglo-francese tornare a dispensare riflessive ballate a prevalenza acustica (“The Dawn Has Hit The Summit”) e rivestire i propri brani di un’aura stralunata, di una sottile psichedelia innervata da sentori di un country-blues al rallentatore (“3-4 Eyes”) e persino sublimata negli avvolgenti riverberi della conclusiva “Mutual Seasons”.
È dunque soprattutto la ritrovata freschezza della scrittura pop di Richards a costituire il comune denominatore di “5”, la cui varietà restituisce in buono stato di forma una band che continua a rappresentare una peculiare esperienza di indipendenza creativa, non limitata al solo aspetto musicale.