CHIHEI HATAKEYAMA – Grace
(White Paddy Mountain, 2016)
C’era una volta un gatto che osservava con acume la specie umana, raccontandone nevrosi e stravaganze caratteriali: era quello al quale, a inizio Novecento, dava idealmente voce Natsume Soseki nel suo capolavoro “Io sono un gatto”. A quel romanzo Chihei Hatakeyama ha dedicato la prima traccia del suo “Grace”, lavoro al quale il musicista giapponese ha applicato una pratica consimile a quella utilizzata dal suo connazionale, consistente in una sensibilità nel cogliere dettagli estremamente minuti, fino a trasformarli in elementi di una narrazione artistica.
Nel caso di Hatakeyama quei dettagli sono suoni, espansi e ripetuti in una sequenza in lenta, impercettibile trasformazione: è quanto avviene appunto in “I Am A Cat”, poco meno di un quarto d’ora di coltri ambientali sofficemente adagiate l’una sull’altra fino a creare un microcosmo avvolgente e sognante, e in maniera ancor più consistente nei cinquanta minuti della title track, lungo viaggio a mezz’aria tra vapori prodotti da effetti chitarristici, stille di pianoforte e field recordings.
In entrambi i casi la consistenza molecolare della musica di Hatakeyama si dispiega in un pulviscolo organico definito dalla compresenza di variazioni e ripetizioni, tutte comunque pienamente funzionali a un abbandono estatico, dai forti contenuti contemplativi.