FEDERICO DURAND – Pavel
(Pudú, 2017)
L’abituale prolificità di Federico Durand trova in “Pavel” manifestazione parzialmente inedita per forma, finalità e contenuto. Si tratta infatti di un’uscita digitale autoprodotta, finalizzata al finanziamento di un prossimo tour dell’artista argentino in Giappone, nel corso del quale sarà distribuita su cassetta, e orientata in maniera più esplicita che mai a incanalarne le delicate particelle elettro-acustiche in un senso giocosamente infantile.
Tali sensazioni promanano infatti dai cinque brani che formano il lavoro, diversi tra loro per natura e per durata, compresa tra i due minuti circa di “Pléyades” e “Fiesta de los brotes azules”, semplici frammenti costituiti da rilucenti vibrazioni acustiche, e gli oltre dodici e quasi venti minuti rispettivamente della title track e della conclusiva “El hechizado”, che ne espando risonanze e delicati intarsi in incantate sinfonie in miniatura.
Un senso di soffice quiete invernale pervade infatti il l’esile equilibrio dei brani di Durand, ancora una volta capace di pennellare delicati bozzetti con semplici vibrazioni di corde e ritmiche acustiche, che rimangono come sospese a mezz’aria, prolungando in brevi loop echi della loro fugace grazia armonica. Se è questo, da sempre, il comune denominatore della tavolozza sonora dell’artista argentino, la sua manifestazione in “Pavel” è quanto mai fragile e preziosa, aliena com’è da nell’occasione dagli abituali spunti naturalistici e invece tutta protesa alla ricerca di candidi paesaggi interiori.