MANKIND – Missing Person
(38, 2017)
In una zona d’ombra accuratamente ricercata si muove il progetto del newyorkese Draye Wilson, alias Mankind. Altrettanto liminare è la natura della suo debutto nel microcosmo delle sperimentazioni su cassetta, in quanto “Missing Person” costituisce il solo aspetto musicale di un più ampio progetto che unisce suono e arte visuale. La prima è costituita da una curiosa combinazione di cantautorato, risonanze droniche e tenebrose cadenze wave.
Comune denominatore è appunto l’oscurità, di ispirazione e contenuto espressivo, nella quale si muove Wilson, che in una breve sequenza di brani dalla durata media di tre minuti attraversa languori drone-folk e retaggi di inquietudine metallica, evaporati in chiave atmosferica. Il canto dolente dell’artista newyorkese – spesso poco più di un’invocazione – spazia così tra accenni di un intimismo addirittura kozelek-iano (intendendo quello delle origini…), austerità dark e caliginose spira ambientali.
“Missing Person” è un lavoro davvero sfuggente alle categorie, un debole segnale da un brulicante sottosuolo creativo, che a sua volta ben incarna le inquietudini che a loro volta popolano i sotterranei dell’animo umano contemporaneo.