FLORIST – If Blue Could Be Happiness
(Double Double Whammy, 2017)
È necessario un periodo di decantazione, insieme a quel minimo distacco marcato dal trascorrere del tempo, per mettere a fuoco le dieci canzoni di “If Blue Could Be Happiness”, secondo lavoro di Emily Sprague e dei suoi Florist
Per farlo, va innanzitutto sgomberato il campo dall’aura vagamente “indie” che circondava il progetto dall’esordio “The Bird Outside Sang” (2016), così come dai cliché che inducono a citare Joni Mitchell ogni volta che si è in presenza di semplici canzoni acustiche guidate da una misurata voce femminile. Quella della Sprague lo è senz’altro, delicata e agrodolce interprete di racconti dai colori pastello come la copertina del lavoro, che la vedono partecipe in prima persona visto che sono stati in gran parte ispirati dalla recente scomparsa della madre.
Senza retorica, ma con un perfetto equilibrio di dolcezza e pathos, la Sprague confeziona una sequenza di acquerelli in forma di canzone, lievi nel tocco delle corde acustiche e profondi su quelle sentimentali. Ma soprattutto “If Blue Could Be Happiness” impressiona per schiettezza di approccio e fluidità di un lirismo pop niente affatto vanificato in quanto presentato “in minore”. Nessun effetto speciale, nessun luogo comune si riscontra tra le righe dei testi della Sprague, e così nei semplici arrangiamenti che ne sostengono gli accordi acustici, a loro volta oscillanti nell’ampio limbo tra felicità e tristezza suggerito dal titolo del disco.
L’understatement di Emily Sprague è appunto così, in bilico tra sentimenti contrastanti e dunque estremamente umani, veicolo di empatia dimessa, eppure proprio per questo chiaramente autentica e capace di manifestarsi in tanti piccoli gioielli di aggraziato pop acustico, da “What I Wanted To Hold” alla title track, da “Understanding Light” a “Glowing Brightly”, che si lasciano scoprire e apprezzare piano piano, trovano nella calma invernale contesto ideale per riscaldare cuori in cerca di un calore non solo figurato.