FLORIST – Emily Alone
(Double Double Whammy, 2019)*

L’ancor breve esperienza di Florist sembra seguire una parabola creativa di progressiva sottrazione di elementi, per arrivare allo spoglio nocciolo dell’ispirazione di Emily Sprague. Terzo capitolo della serie, “Emily Alone” presenta appunto in quasi assoluta solitudine la sensibilità della musicista newyorkese, da poco trasferitasi sulla costa pacifica degli Stati Uniti e reduce dalle divagazioni atmosferiche pubblicate a proprio nome. Nei dodici brevi brani del lavoro, scritti nella solitudine invernale della sua nuova residenza californiana, Emily tiene a distanza la band che nel debutto “The Bird Outside Sang” (2016) lasciava presagire per Florist il dischiudersi di orizzonti “indie” e che già nel successivo “If Blue Could Be Happiness” (2017) fungeva da contorno discreto per i delicati chiaroscuri di un lirismo pop intimo e già inevitabilmente “in minore”.

Le canzoni di “Emily Alone” sono invece interamente riempite dalla personalità riflessiva, umbratile e malinconica di Emily Sprague, come le pagine di un diario personale, vergate da una scrittura minimale eppure pienamente capace di comunicare emozioni empatiche, ricorrendo a tutt’altro che a esili armonie acustiche e a interpretazioni sommesse e, a loro modo, dense di pathos. Benché la solitaria genesi del lavoro possa farlo ascrivere alla dimensione “da cameretta”, nelle sue pieghe non vi sono monologhi criptici, né crogiolamenti malinconici, ma una serie di riflessioni tra il personale e l’universale, ricamate da linee armoniche appena accennate eppure perfettamente compiute.

Persino i due spoken word “Celebration” e “Still” presentano una naturale musicalità, arricchita nel primo caso da vibrazioni d’archi appena accennate, mentre anche quando il pianoforte si sostituisce alla chitarra (“M”) non altera il registro di trasognata pacatezza di interpretazioni mai sopra le righe e, anche quando rese poco più che sottovoce, dotate di un’eleganza naturale e niente affatto priva di fascino. Solo per brevi tratti (“Moon Begins”, “I Also Have Eyes”) l’ampiezza armonica dei brani ne eleva lievemente i toni, come a ricercare le percezioni di ritmi e fenomeni naturali ricorrenti nei temi e nella simbologia dei testi.

In prevalenza umbratili e invernali risultano tuttavia le sensazioni che promanano dai brani, non a caso scritti da Emily Sprague durante la parte finale dello scorso anno, in un luogo per lei non ancora del tutto familiare, del quale proprio per questo si è dimostrata più sensibile nel cogliere spunti di atmosfera, paesaggio e suggestioni. Tutto ciò è racchiuso nei brani di “Emily Alone”, testimonianza estiva di uno spaccato emotivo placidamente invernale, la cui grande delicatezza e capacità di condivisione trascende spontaneamente gli spazi personali della sua artefice, dimostrando ancora una volta come la solitudine cantautorale “da cameretta” possa non essere necessariamente solipsista.

https://florist.life/

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