LEYA – Flood Dream
(NNA Tapes, 2020)
Esiste una sottile linea che nel corso degli ultimi anni connette alcune esperienze di minimalismo incentrato su una strumentazione classica; è una linea obliqua, che segna una transizione verso atmosfere di sempre più scarna inquietudine, veicolata o meno dall’elettronica.
Due voci, un violino e un’arpa è l’inedita formula attraverso la quale il duo newyorkese formato da Marilu Donovan e Adam Markiewicz disegna traiettorie di ardita ed evocativa post-modernità. “Flood Dream” è il loro secondo lavoro come LEYA e consta di nove ballate di sospeso intimismo, che sui tempi rallentati scanditi dalle corde pizzicate e dai movimenti dell’archetto costruiscono un immaginario al tempo stesso dimesso e vibrante.
Mentre la sua copertina è decisamente fuorviante rispetto al contenuto, senz’altro più adeguato si rivela il titolo di “Flood Dream”, visto l’incantato flusso di coscienza che i suoi brani plasmano per poco più di mezz’ora, anche grazie a linee vocali spesso sfocianti in declamazioni dai toni a tratti ieratici. L’incanto di LEYA è tuttavia avvolto da tenebrosa solennità, sfumata dalla misura con la quale i due musicisti distillano le note dei loro strumenti e da una sensibilità melodica che permette loro di innestarvi pur scheletriche canzoni.
“Flood Dream” risulta così un lavoro di rara intensità, sorprendente per le intersezioni create da Marilu Donovan e Adam Markiewicz tra classicismo e modernità, che sviluppa idealmente il teatrale lirismo di Antony in una minimale chiave “pop”, di oscura, straniante bellezza.