GIA MARGARET – Mia Gargaret
(Orindal, 2020)
Già nel debutto “There’s Always Glimmer” (2018), Gia Margaret aveva dimostrato di non essere una classica cantautrice appena uscita dalla dimensione produttiva della “cameretta”, rivestendo il fragile intimismo delle sue canzoni con una varietà di arrangiamenti e ambientazioni sonore trasognate.
Tuttavia, non era facile immaginare che la sua evoluzione successiva avrebbe portato la giovane artista chicagoana a rimescolare in maniera radicale le tessere della propria espressione… e finanche le iniziali del proprio nome e cognome. “Mia Gargaret” potrebbe infatti, per estrema semplificazione, un album ambientale, nel quale le canzoni hanno lasciato (quasi) interamente spazio a una sequenza di liquide correnti sintetiche, tra le quali affiorano frammenti acustici di chitarra e pianoforte, che a tratti assumono (soprattutto quelli pianistici) i definiti contorni di una melodia.
Scorrendo le note di copertina del lavoro, si scopre come la sua creazione sia giunta, in maniera abbastanza comprensibile, al culmine di un percorso personale del quale definisce lo straniante corrispettivo sonoro, evanescente come gli estesi loop armonici, le oscillanti risonanze e gli sparsi detriti atmosferici che ne costituiscono l’intelaiatura. E la voce sognante che aveva incantato nelle canzoni di “There’s Always Glimmer”? Non è del tutto scomparsa, come potrebbe sembrare, ma anch’essa ha mutato forma, presentandosi nella veste degli esercizi di terapia vocale seguiti da Gia Margaret e riportati nel brano d’apertura, oltre che nell’unico frammento di canzone compreso nel lavoro, i nemmeno cento secondi della conclusiva “Lesson”, nei quali compare su un opalescente tappeto di pulsazioni dub.
La mutazione di “Mia Gargaret” è dunque evidente, eppure non appare affatto traumatica ma anzi uno sviluppo a suo modo coerente con la sensibilità di un’artista a tutto tondo, che già nel debutto mostrava di poter trascendere gli schemi della semplice cantautrice.