GRAVENHURST – The Ghost In Daylight
(Warp, 2012)
Quinto album dei suoi Gravenhurst, “The Ghost In Daylight” chiarisce che la vocazione di Nick Talbot non è quella di frontman di una band indie-rock o shoegaze, come invece il precedente “The Western Lands” (2007) ha potuto far pensare a quanti li avevano scoperti solo allora.
Certo, è ormai passato quasi un decennio dal brumoso folk degli esordi, ma proprio a un sostanziale ritorno a quell’ispirazione primigenia tende “The Ghost In Daylight”, fin dalle suggestioni evocate dal titolo. Ambientazioni spettrali e scarne limpidezze acustiche occupano infatti la maggior parte del lavoro, sotto forma di ballate lunari dalle melodie ovattate, mentre nell’incipit “Circadian” e lungo gli otto minuti dello strumentale “Island” riaffiorano tastiere analogiche in iterazioni liquide e ipnotiche.
Se questi episodi e taluni riverberi chitarristici sparsi qua e là tendono a una psichedelia lieve e trasognata, l’essenza del disco – nonché la sua parte più riuscita – si attesta su linee acustiche delicate e dalle movenze rallentate.
Se si eccettua l’equilibrata mediazione tra suono delle origini e torsioni elettriche recenti dell’ottima “The Prize”, “The Ghost In Daylight” indica che la via intrapresa dai Gravenhurst è quella di un’ulteriore dilatazione delle loro ballate acustiche incantate, che nella lunga coda di “Fitzrovia” scolora addirittura in quiete ambientale. Ed è una via che i loro seguaci della prima ora non potranno non accogliere con favore.
(pubblicato su Rockerilla n. 381, maggio 2012)
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