JOHN GRANT – Pale Green Ghosts
(Bella Union, 2013)
Era impresa ardua dare un seguito credibile a un capolavoro di inusitata profondità quale “Queen Of Denmark” (2010), album che aveva tributato plausi generalizzati alle calde interpretazioni e alla classe da songwriter di John Grant.
Animato da tale consapevolezza, l’ex leader degli Czars ha operato un deciso cambio di rotta, personale e stilistico. Trasferitosi in Islanda, ha registrato insieme a Birgir Þórarinsson (Gus Gus) un album che mette nuovamente a nudo i tormenti passati e presenti della sua esistenza, discostandosi però con decisione dal mood anni Settanta e dalle sfumature folk-rock del predecessore.
In “Pale Green Ghosts”, Grant dà libero sfogo alla sua passione per il synth-pop e la wave industriale, rivestendo gran parte dei brani di beat e vigorose pulsazioni sintetiche, che sfiorano addirittura accenti techno-dance. L’effetto è inevitabilmente disorientante, tanto che anche le uniche ipotetiche outtake da “Queen Of Denmark” (“GMF”, “I Hate This Town”) finiscono appaiono pallidi simulacri di un capitolo chiuso. A meri fini statistici rileva poi la presenza di Sinead O’Connor in qualità di backing vocals.
Scavando tra le righe dei testi e nella biografia recente di Grant, “Pale Green Ghosts” appare frutto di una nuova confessione in musica, feroce e autentica. Peccato che questa volta il risultato sia a tratti del tutto respingente, tanto da suscitare, in conclusione, un unico enorme interrogativo: perché?
(pubblicato su Rockerilla n. 391, marzo 2013)
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