PILLOWDIVER – Bloody Oath
(Dronarivm, 2013)
A giudicare dalla cupa resa sonora, sarebbe davvero difficile identificare la matrice dell’ultimo esperimento di René Margraff; non più sinuosi giochi di echi e riverberi, come invece in molte della sue precedenti opere a nome Pillowdiver, ma dense saturazioni connotano i tre pezzi contenuti in “Bloody Oath”, mini album di circa venticinque minuti pubblicato in formato 3” e in un’elegante confezione cartonata dalla russa Dronarivm.
Eppure, ciascuna delle tre composizioni raccolte nel lavoro è la risultante della trasfigurazione di altrettante popsong di band australiane degli anni ’80, che attraverso loop e samples realizzati in maniera tradizionale sono diventate il substrato di un flusso magmatico di riverberi e dis(torsioni) (“Back In Black (Angus Freeze)”), cristallizzate in spesse coltri ghiacciate (“Misty/Devastated”) o fluttuanti in tenebrose astrazioni percorse da sferzate sintetiche alla fine (“Down Under In Two Parts (Full Frequency Sweep)”).
Nella sua concisione, “Bloody Oath” denota così la capacità manipolativa di Margraff e la sua incessante ricerca di fonti eterogenee per percorsi di sperimentazione sempre più distanti dalle derive di morbida ambience chitarristica che avevano indotto a paragonare le sue prime opere (“Sleeping Pills”, 2009), tra gli altri, a quelle di Jon Attwood. Adesso i suoi paesaggi sonori sono decisamente più tenebrosi e contorti, ma non per questo meno vitali e toccanti.