TALVIHORROS – Eaten Alive
(Fluid Audio, 2013)
Il nuovo capitolo delle inquiete esplorazioni di Ben Chatwin si presenta ridotto (letteralmente) all’osso degli impulsi vitali primigeni e di stranianti sensazioni di colpa, paura, disagio. Le otto tracce di “Eaten Alive” dischiudono un universo corrosivo e angoscioso, che per tradurre in suono il proprio filo conduttore concettuale impiegano un arsenale post-industriale popolato da ruvide dissonanze e pronunciate detonazioni.
Il lavoro non è dunque semplicemente popolato da field recordings e magmatiche torsioni elettriche bensì da spunti ritmici e, in particolare nella parte conclusiva, da una sinestesia sintetica non priva di aperture luminose. In “Eaten Alive” convivono infatti luci ed ombre, con significativa prevalenze delle seconde, sotto forma di texture claustrofobiche e pulsazioni oscure; è proprio per questo che sorprendono non poco passaggi quali quello delle scie cosmiche disegnate dalle tastiere analogiche su “The Secrets Of The Sky” e “Becoming Mechanical” e soprattutto la graduale costruzione armonica che dissipa le distorte frequenze elettriche iniziali del brano d’apertura “Little Pieces Of Discarded Life“ in melodie pianistiche incrementali e non aliene di un qualche contenuto romantico.
È come se Chatwin, proprio nel suo lavoro dalle premesse più spigolose e disadorne, faccia balenare la capacità di costruire mondi sonori più vari, che da recessi imperscrutabili si aprono ad ampiezze stellari, unendo in un medesimo paradigma individualità e universalità.