Adobe Photoshop PDFHAMMOCK – Oblivion Hymns
(Hammock Music, 2013)

Reduci da appena un anno dall’imponente doppio “Departure Songs”, Andrew Thompson e Marc Byrd proseguono instancabili il loro percorso di luminose evanescenze tra ambient e torsioni chitarristiche dai contorni sempre più sfumati.

“Oblivion Hymns” appare infatti al tempo stesso un’ulteriore evoluzione delle contemplazioni stellari del duo americano e un parziale ritorno sulle proprie tracce rispetto al lavoro precedente, che sotto la guida di Tim Powles ne aveva amplificato le strutture melodiche anche attraverso l’estatica presenza dell’elemento vocale. Le dieci tracce del nuovo lavoro ripiegano infatti, sotto il secondo profilo, su contesti quasi interamente strumentali (l’unico brano recante un cantato effettivamente distinguibile è la conclusiva “Tres Dominé”, con la voce di Timothy Showalter, aka Strand Of Oaks); dal primo punto di vista, invece, la vocazione orchestrale dell’universo di toni sfumati e riverberi incorporei degli Hammock viene esaltata attraverso lo stabile supporto di stratificazioni e filtraggi di archi, che si associano a impulsi sintetici ipnoticamente espansi e a correnti di effetti tanto sublimate da renderne quasi irriconoscibile la matrice originaria.

Accanto agli archi del Love Sponge Quartet ci sono anche le voci di un coro di bambini ad aggiungere misticismo sinfonico alle piéce del duo, che fin dalla sequenza dei titoli delle tracce disegna come un percorso attraverso le dense nebbie della memoria, rischiarate da bagliori amplificati proprio dal contesto nel quale si manifestano. È un’ambience popolata da rarefazioni narcolettiche quella con cui si apre il lavoro (“My Mind Was A Fog…My Heart Became A Bomb”), ispessita dal romanticismo degli archi e dai vocalizzi del coro, che tiene ancora a bada aperture emozionali dissolte in un palpitante pulviscolo emotivo (la sequenza “Then The Quiet Explosion”-“ Turning Into Tiny Particles… Floating Through Empty Space”).

Dopo un trittico così emblematico e denso di suggestioni, la parte centrale del lavoro svapora in astrazioni anecoiche, che tratteggiano una purissima ambient emozionale (“Like A Valley With No Echo”, “Shored Against The Ruins… Drowning In Ten Directions”). Sono tuttavia nuovamente voci e archi a restituire contenuto umano al pulviscolo sonoro dal moto incessante, che quasi solo in “I Could Hear The Water At The Edge Of All Things” disvela la propria base di sognante consistenza elettrica.

Al nulla dell’oblio soccorre solo l’invocazione finale di Showalter, suggello di un lavoro nel quale gli Hammock sono riusciti a bilanciare magistralmente rarefazioni ambientali e contenuti emozionali, completati da un piglio sinfonico che le esalta senza diluirne l’efficacia evocativa negli eccessi di prolissità ai quali anche il precedente “Departure Songs” aveva pagato un prezzo significativo. L’accurato mastering di Taylor Deupree conferma come dichiarazione d’intenti l’ultima deriva creativa degli Hammock, che in “Oblivion Hymns” hanno confezionato un sogno di quasi un’ora, con gli occhi e la mente rivolti all’infinito.


http://hammockmusic.com/

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