EOSTRE – They Were Made Of White Cloth
(Soft Corridor / Alt. Vinyl, 2014)
È sufficiente un semplice sguardo al retroterra artistico di Sébastien Schmit per comprendere come la sesta pubblicazione della Soft Corridor si discosti dalle evanescenze ambientali delle precedenti uscite dell’etichetta belga – la prima condivisa con Alt. Vinyl, che ne ha curato l’edizione in vinile – benché permanga collocata su una linea di continuità quanto alla ricerca delle potenzialità di un suono solo in apparenza astratto.
Batterista già all’opera, tra gli altri, con K-Branding, nel suo progetto personale Eostre, Schmit persegue l’affine finalità della creazione di paesaggi strumentali visionari, tuttavia non attraverso modulazioni e riverberi, bensì facendo leva sull’elemento ritmico, generato dal suo originario strumento d’elezione e, soprattutto, da fonti sintetiche.
I dieci brani di “They Were Made Of White Cloth” derivanti da tale intersezione di linguaggi sonori sono un pur rallentato tour de force in un universo sonoro parallelo, popolato da bordate sintetiche e impulsi allucinati, tra i quali fanno capolino frammenti vocali destrutturati, come di un’umanità piegata all’intelligenza delle macchine. L’atmosfera di cupa sci-fi che aleggia sul disco è solo a tratti diradata da un approccio di fondo in qualche misura dilatato, benché i risultanti vapori permangano sulfurei e quasi sempre opprimenti.
Non c’è infatti luce, né tanto meno vibrazione umana lungo i vari livelli di alienazione descritti nei quaranta minuti dell’album, frutto di una pur accurata rivisitazione dell’estetica sonora post-industriale e sintetica degli anni Ottanta più foschi. Quello di Sébastien Schmit risulta così un cyber-punk filtrato dalla tecnologia e dalla disillusa ordinarietà di un’epoca nella quale la fantascienza di quel periodo cominciava a essere ambientata.