owls_of_the_swamp_atlasOWLS OF THE SWAMP – Atlas
(Labelship, 2014)

Non poteva trovare titolo più adeguato dell’atlante – inteso in senso geografico piuttosto che come il monte stilizzato sulla copertina – Pete Uhlenbruch per il terzo album della sua creatura Owls Of The Swamp.
“Atlas” è infatti il frutto di elementi e suggestioni che attraversano il globo terreste, congiungendo antipodi attraverso il filo conduttore dell’ispirazione gentile del songwriter australiano, ennesimo artista catturato dal fascino naturalistico e del fervore musicale d’Islanda.

Le dieci tracce del lavoro sono infatti state prodotte e registrate in Islanda, anche con l’ausilio di diversi artisti locali. Oltre ad ampliare lo spettro compositivo di Uhlenbruch, il contesto realizzativo ha influenzato in maniera sensibile la resa del lavoro, amplificando nella rarefatta aria nordica i toni soffici della sua voce poco più che sussurrata e la delicatezza delle sue armonie acustiche. L’intero “Atlas” è come avvolto in una patina di dolcezza sognante, sospeso in atmosfere di irreale confortevolezza, in perfetta armonia tra natura e sentimento umano.

È sufficiente già il biglietto da visita del disco – nonché precoce singolo di anticipazione giunto un anno fa – per avvincere da subito in carezze di inusitata dolcezza: “The Hypnotist” è una ballata impreziosita dal pianoforte di Markéta Irglová, che da sola dischiude paesaggi avvincenti e morbide suggestioni, facilmente riconducibili appunto alla musica islandese più affascinante ed incline alle melodie. È una gemma preziosa che, posta in apertura dell’album, rischia quasi di fare ombra ai restanti nove brani, nel corso dei quali Uhlenbruch e i suoi collaboratori d’eccezione mantengono intatto un mood introspettivo dalle evanescenti tinte pastello, denotando tuttavia una buona capacità di delineare variazioni: le lievi corde acustiche dell’artista australiano risultano così contornate da un’aura sognante e ovattata, che ne accentua il fragile contenuto emotivo, ovvero sono avvicendate da minimali note pianistiche (“Shelter” e “Restless”, entrambe impreziosite dalla voce della brava Myrra Rós) o ancora innestate su una base ritmica che non ne disperde la magia (“Shapeshifter”, “Water Song”).

L’essenza del disco permane tuttavia quella di una scrittura e di interpretazioni in punta di dita, al tempo stesso timide e decise, che parimenti rifulgono in tutta la serafica solitudine acustica di “Going Home” e trovano nella misurata produzione e nei collaboratori che si avvicendano nel corso del disco (tra i quali anche il cantautore Svavar Knútur e Ryan Karazija dei Low Roar) un contesto ideale e coerente con il tocco sensibile di Uhlenbruch.
Al terzo disco in sette anni, anche grazie al contesto di realizzazione, l’artista australiano è dovuto recarsi agli antipodi per trovare una condizione espressiva ideale e probabilmente funzionale a farne travalicare con pieno merito la fama rispetto alla terra d’origine. “Atlas” è infatti un lavoro delizioso ed equilibrato, che colpisce per maturità e sensibilità di scrittura e arrangiamento, regalando una sequenza mozzafiato di cartoline di un cantautorato acustico calato in una dimensione ariosa, frutto di grande delicatezza e sensibilità.

http://www.owlsoftheswamp.com/

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. peppetro ha detto:

    L’ha ribloggato su peppetrotta.

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