lightning_in_a_twilight_hour_fragments_of_a_former_moonLIGHTNING IN A TWILIGHT HOUR – Fragments Of A Former Moon
(Elefant, 2015)

Se anche si fosse all’oscuro dell’identità dei musicisti riuniti sotto la denominazione di Lightning In A Twilight Hour, i primi trenta secondi del brano d’apertura “The Memory Museum” sarebbero sufficienti a materializzare i ricordi dolcemente nostalgici di esperienze artistiche ormai scolpite nella memoria (e nei cuori) degli amanti del pop d’autore degli ultimi tre decenni ormai. Le tremule oscillazioni di tastiere sfumate e il cantato dai toni invariabilmente morbidi, inscalfibili dal tempo, di Bobby Wratten proiettano in un attimo in una dimensione indefinita, ma non per questo meno riconoscibile.

Potrebbero essere i tardi anni Ottanta dei Field Mice, i Novanta dei Northern Picture Library o i Duemila dei Trembling Blue Stars, invece sono i Dieci di mezzo dei Lightning In A Twilight Hour, nuova avventura che non guarda solo al passato, bensì sviluppa la dimensione odierna di Wratten, nella quale lo spirito pop convive ormai con una spiccata propensione all’elaborazione di texture elettroniche, sfocianti talvolta in qualcosa di molto simile alla musica ambientale.

È qualcosa che si percepisce tra i solchi delle dieci tracce di “Fragments Of A Former Moon” – in particolare nella sua seconda parte – accanto a distanti reminiscenze wave, veicolate da bassi insistiti e tastiere brillanti ma mai davvero invadenti, rese funzionali a nuovi saggi dell’inesauribile vena pop di Wratten che, tanto per non smentire la coerenza con il proprio passato, ritrova accanto a sé la voce dell’immancabile Beth Arzy e quella di Anne-Mari Davis.

Amplificando quanto già palesato nell’Ep d’anticipazione “Slow Changes”, la nuova (?) band condensa nel lavoro malinconiche stille di un indie-pop senza tempo, dal vago sapore retro-futurista (“The Pattern Room”) o intriso fino al midollo della lieve scorrevolezza e del caratteristico languore melodico di Wratten (“The Passerby” e “The Absentee”), nel quale desiderio, assenza e ricordo si ricombinano in maniera sempre nuova. Allo stesso modo, come i petali di un fiore dalle tante sfumature, si nel corso dell’album una sequenza di soluzioni sonore talora piacevolmente connesse a diverse temperie espressive (i carezzevoli riverberi di “Unanswered”, i tremolo notturni di “I Dreamt Music”, i loop in reverse di “Night Traveller”), eppure rese tutt’altro che anacronistiche dall’estrema naturalezza con la quale Wratten e soci le propongono.

Il lato ambientale di Wratten, già ricorrente sottotraccia a gran parte delle canzoni, si eleva poi in primo piano nei tre brani strumentali: le vaporose evanescenze di “Fever Dreams Of Emilia”, le narcolettiche contemplazioni di “Taking The Figure Out Of The Landscape” e il sognante calore dei riverberi stellari di “Starfields” lo descrivono alla perfezione, mantenendo nel diverso contesto una linea di piena coerenza con l’agrodolce contenuto emozionale del lavoro. Perché il tempo passa e le forme mutano, ma la classe di Bobby Wratten resta sempre se stessa e pienamente riconoscibile, nella preziosa magia del suo spirito pop e del suo orientamento all’atmosfera, che anche quando vengono esercitati in maniera in parte disgiunta restano indissolubilmente legati a una poetica unica e sempreverde.

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