DELPHINE DORA – Près du Coeur Sauvage
(Wild Silence, 2015)
Negli esili interstizi tra il pulviscolo attraversato da una luce fioca e un cono d’ombra che soffonde l’atmosfera nella quale si inscrivono le filigrane intessute da vocalizzi e note pianistiche continua a collocarsi la ricerca di una dimensione musicale aliena da parte di Delphine Dora, che a sua volta si colloca in un territorio volutamente indefinito, in bilico tra eteree ricercatezze vocali e minimalismo neoclassico.
In “Près du Coeur Sauvage” i principali cardini espressivi dell’artista francese ricorrono integralmente, dimostrando una più accentuata attenzione della Dora per un vocalismo che, rispetto a quello di più celebrate colleghe quali Julianna Barwick, resta sì spoglio protagonista della sua tavolozza espressiva integrandosi tuttavia con stille pianistiche sempre più rade, come gocce di pioggia il cui contenuto armonico resta, al più, circoscritto a minuti loop ipnotici.
Entrambi gli elementi concorrono in equilibrio a plasmare il contenuto straniante degli undici brani compresi nel lavoro, che solo a tratti assurgono a spettrali brandelli di canzone (l’iniziale “Souffle”, “Vision”, “Nôtan”), mentre più spesso si manifestano in latenze immateriali nella quali note e voce si compenetrano a formare un’unica sostanza inafferrabile. Le stesse interpretazioni dell’artista francese ricamano trine armoniche diafane, scandendo litanie narcolettiche, che in qualche passaggio si inarcano in torsioni acute (“Whisper Incantation”, “Fuga Mundi”, “lingua Ignota”).
“Près du Coeur Sauvage” resta comunque un lavoro fatto di soffi e sospiri, di armonie notturne ed evanescenze eteree, che riempie lo spazio sonoro con grazia discreta e piglio sperimentale, bilanciando luce e ombra, fin quasi a confonderle in una penombra avviluppante.
music won't save you 