BRIANA MARELA – All Around Us
(Jagjaguwar, 2015)
Nel tempo in cui incontri e collaborazioni tra artisti nascono e si sviluppano prescindendo dalla compresenza, gli spostamenti fisici e una felice coincidenza reale ha portato Briana Marela dalla dimensione sostanzialmente casalinga nella quale aveva già realizzato due album a proprio nome alla prima produzione discografica dotata di ben più ampie potenzialità di diffusione.
Il viaggio che l’ha condotta dalla sua Seattle all’Islanda, dove ha registrato i nove brani di “All Around Us” sotto la supervisione di Alex Somers, ha fatto tappa sulla costa orientale americana, dove si è imbattuto in suo concerto Scott Alario, sodale proprio di Somers nei Parachutes. Da lì ha tratto le mosse l’abituale meccanismo di condivisione e apprezzamento della delicatezza delle canzoni della Marela, che dall’esperienza islandese sono uscite rivestite di una magia sottile, di un alone ancor più morbido e sognante.
L’acuta freschezza vocale della Marela si presta alla perfezione ad essere calata in un contesto produttivo caratterizzato da rigeneranti sentori nordici, riassunti tanto in atmosfere incantate quanto in vivaci accenti ritmici. Sono questi ultimi, sotto forma di cadenze ondeggianti e più spesso di brillanti pulsazioni elettroniche, a rendere il fragile songwriting dell’artista americana sicuramente dinamico ma anche un po’ troppo omologato al carattere di altre produzioni islandesi, come in particolare avviene nei brani intesi come trainanti il lavoro, ovvero l’apertura “Follow It” e l’anticipazione “Surrender”, caratterizzate da battiti e coretti eterei e collocabili nel solco di Sóley o dei Múm più pop.
Laddove invece la produzione aggiunge fascino e contenuto emotivo alle canzoni della Marela è nei passaggi più sommessi e introspettivi, che ne rivelano altresì la misurata sensibilità di scrittura: così, i dolci sospiri sul pianoforte di “Dani” e “I Don’t Belong To You” sono incorniciati da atmosfere sinuose, che amplificano lo spazio sonoro nel quale, poi, si manifesta il poetico intimismo della title track. Allo stesso modo, i gentili echi di “Everything Is New” e l’evanescente apertura ambientale, condita da minute screziature, della conclusiva “Further” esaltano la carezzevole introspezione di armonie umbratili, dispensate in canzoni dolcemente sospese, che tra gli affascinanti vapori nordici hanno trovato il contesto più adatto per manifestare la loro naturale, cristallina purezza.