widowspeak_all_yoursWIDOWSPEAK – All Yours
(Captured Tracks, 2015)

A differenza delle tante esperienze artistiche sorte a inizio decennio, soprattutto negli Stati Uniti, sulla scia della riscoperta wave/dream-pop, gli Widoswpeak di Molly Hamilton e Robert Earl Thomas non si sono limitati a replicare una formula che aveva sorprendentemente trovato una popolarità improvvisa, bensì hanno provato a svilupparla in ognuno dei loro lavori, combinandola con ulteriori sfumature derivanti dalla propria sensibilità e cultura musicale.

È quel che avviene anche in “All Yours”, terzo disco della band, nel quale le sensazioni folk-rock del precedente “Almanac” si amplificano fino a relegare in secondo piano l’originaria impronta oscura e sognante, pur ancora evidente nelle suadenti interpretazioni della Hamilton.
I dieci brani di “All Yours” presentano infatti contorni più concreti e definiti che mai, modellati da ritmiche e chitarre tangibili come non mai, che riecheggiano languori evocativi di luminosi spazi desertici piuttosto che di tenebrose atmosfere wave.

La prima parte del lavoro, in particolare, si muove nella direzione di un indie-rock austero, venato persino di calorosi accenti bluesy e appena ingentilito da lievi armonie vocali. Se rilassate decompressioni armoniche alleviano con la loro eleganza il passo cadenzato della title track, brani quali “Dead Love (So Still)” e “Girls” deviano decisamente verso la West Coast, mentre “Borrowed World”, primo brano della band cantato da Thomas, pare suggellare una transizione a canoni indie-rock che poco hanno a che fare con la penombra sognante per la quale i Widowspeak avevano finora affascinato. Le stesse componenti visionarie che ne avvolgevano i brani si trasformano in “All Yours” in derive psych, sulle ali degli impulsi apportati nel lavoro dalle tastiere dei Quilt (“My Baby’s Gonna Carry On”, “Cosmically Aligned”), resi tuttavia funzionali a fungere da contorno ad armonie incantante e scorrevoli.

È tuttavia proprio grazie alle atmosfere rese in tal modo più dilatate che, nell’ultima parte del disco, torna a materializzarsi la magia lieve dei Widowspeak, adesso chiaramente orientata alle morbide visioni del Paisley Underground piuttosto che alle torbide oscurità wave. In questo contesto risalta ancor di più la ricercata affinità delle interpretazioni di Molly Hamilton con Hope Sandoval, emblema di una band che dimostra di essersi saputa evolvere e di aver trovato una propria dimensione, sempre più “americana” e marginale rispetto a mode (indie) passaggere.

http://facebook.com/widowspeakband

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