MESTA – VMMDVL
(Self Released, 2016)
È finalmente giunta l’occasione per parlare dei MESTA, terzetto serbo oggetto di un culto sotterraneo comunque non passato inosservato da parte degli estimatori di linguaggi musicali trasversali, tuttavia accomunati da tempi lenti e atmosfere dense di un pathos declinato secondo modalità diverse e tra loro complementari. L’occasione è il rilascio, nel consueto formato digitale a offerta libera tramite la loro pagina Bandcamp, di “VMMDVL”, primo album organico dai tempi di “The Night That Guided Me” (2012), comunque intervallato da un paio di pubblicazioni più brevi, tra le quali va segnalato in particolare lo splendido mini “For God Is A Flowing, Ebbing Sea” (2014).
I sette lunghi brani di “VMMDVL” offrono del resto un panorama estremamente esaustivo degli ampi orizzonti espressivi della band, che nella propria stessa descrizione spazia dal minimalismo acustico al post-rock, dal folk al drone. I denominatori che tengono insieme universi espressivi in apparenza tra loro distanti sono tuttavia la lentezza narcolettica con la quale sono costruiti tutti i brani dei MESTA e un intimismo del resto strettamente connesso al dichiarato intento di realizzare, attraverso la musica, evocazioni di un misticismo trascendente. Un’aura di sacralità, rituale e densa di rapita evocazione traspare infatti dal registro interpretativo ieratico di Borislav Prodanović, prima voce e chitarrista della band, le cui salmodianti armonie ricamano narrazioni rese ancora più misteriose dall’impiego in tutti i brani dell’idioma natio.
Note dalle cadenze lentamente stillate, risonanze e saltuari fremiti elettrici scandiscono l’intera ora scarsa di durata di “VMMDVL”, creando atmosfere in bilico tra raccoglimento e pathos, che manifestano una tensione latente, liberata nelle due abrasive impennate dai tratti decisamente post-rock al culmine di “Pirinčana jutra” e di “Daj mi da te gledam” e negli spigolosi arpeggi di “Očevo sijanje”. È tuttavia nei passaggi più ovattati e riflessivi che si esprime al meglio la personalità della band serba, capace di costruire invocazioni in graduale ma inesorabile crescendo (l’iniziale “Dođi u meni”) e dilatazioni ambient-folk che avvicinano allo spirito come preghiere sottovoce (“Stojim da ne zaspim” e “Srce greje bol”).
Lo stesso vale per i dieci minuti della conclusiva “Noć koja me je vodila”, ipotetico manifesto riassuntivo dell’arte dei MESTA, che passa da un dialogo di chiaro stampo (s)Low-core con la voce morbida e austera di Sanja Vernački a stille acustiche che solcano drone sacrali infine trasformati in dialogo minimale tra saturazioni e risonanze avvolgenti. È il culmine più adeguato per una preghiera lunga poco meno di un’ora, sommessa e vibrante, che attraversa momenti di tormento ed estasi, forse non tale da conseguire la trascendenza, ma senz’altro animata da una carica espressiva profonda e niente affatto comune, oltre lo slow-core, anzi, più in alto.