JASON VAN WYK – Attachment
(Eilean, 2016)
Se spesso sono luoghi, immagini e spazi sconfinati del profondo nord a ispirare opere sperimentali o di neoclassicismo ambientale, il secondo lavoro del compositore sudafricano Jason Van Wyk dimostra come possano non essere da meno gli orizzonti solitari, le scogliere scoscese e le infinite distese oceaniche dell’altra metà del globo.
Coordinate geografiche a parte, le dodici stanze di “Attachment” traggono origine da un forte legame di Van Wyk con la propria terra, con i suoi aspetti più selvaggi e reconditi, non a caso effigiati nella vaporosa immagine di copertina. È la prova che la solitudine di fronte alla natura e la contemplazione dei suoi elementi rappresentano qualcosa di universale, che la sensibilità dell’artista può tradurre in un diario sonoro a sua volta fonte di suggestioni. Quella di Jason Van Wyk si manifesta in una sequenza di fragili diapositive sonore, quasi tutte di durata concisa, che spazia da frammenti costituiti da poche note pianistiche risuonanti in atmosfere ovattate (come i due interludi spiccatamente classici “Unsaid” e “Red”) a più articolate sinfonie in miniatura, che si dischiudono a una palpitante ambience orchestrale (“Coherence”, “Found”, “Evanesce”).
Linee armoniche delicate e romantiche convivono in “Attachment” con archi filtrati ed esili stratificazioni sintetiche, pennellando su una tela dalla trama volutamente poco raffinata paesaggi sonori densi di spunti cinematici, che suscitano moti di riflessione e coinvolgimento che prescindono dal continente o dall’emisfero di provenienza, semplicemente universali.