CHRIS DOOKS – Accretion Disc
(Eilean, 2016)
Non è inusuale parlare di ricerca sonora con riferimento alle pratiche condotte da musicisti dediti alla sperimentazione elettro-acustica o al soundscaping ambientale. Ebbene, quel termine calza alla perfezione nel caso di Chris Dooks, artista scozzese i cui lavori musicali costituiscono una delle branche di una ricerca accademica condotta su vari piani espressivi, a cominciare da quelli delle arti visuali.
Le otto tracce del suo nuovo “Accretion Disc” sembrano infatti discendere da un approccio “scientifico” alla creazione di una mappa sonora di un paesaggio immaginario, rappresentato attraverso variegate intersezioni tra fonti acustiche, analogiche e concrete. L’atlante sonoro di Dooks conduce in luoghi isolati, immersi in vapori nebbiosi che si confondono con quelli salmastri del mare, fin troppo facili da identificare con qualche remota isola scozzese, incapsulati in un tempo sospeso, del quale sono sopravvissuti soltanto frammenti di dialoghi, filastrocche infantili o il suono delle campane.
Intorno a questi e altri distanti segnali radio, catturati da ricevitori a valvole secondo intermittenze causate disturbi atmosferici, Dooks costruisce una serie di vignette sonore pennellate da nastri analogici e modulazioni ambientali, secondo modalità di volta in volta oscillanti tra il neoclassicismo di un’orchestra di spettri e le persistenze “hauntologiche” di ricordi dispersi in un altrove spazio-temporale. Proprio in quest’ultima accezione sembra dunque dover essere letta la concrezione di cui al titolo del disco, come un precipitato di una varietà materica destinato alla lunga durata, provvisoriamente “carotato” da poco più di tre quarti d’ora di formazioni sonore organiche.