THE WORKHOUSE – Now I Am On Fire
(Oscarson, 2017)
Dagli apici della parabola del post-rock alla riscoperta dello shoegaze e, poi, della wave; i quindici anni di attività di The Workhouse hanno attraversato temperie espressive diverse, seguendole in parte, ma piuttosto mantenendo sempre a distanza di sicurezza la personalità di una band che la stessa distanza ha posto tra sé e i riflettori più abbaglianti, nonché tra l’una e l’altra delle sue produzioni.
“Now I Am On Fire” è infatti soltanto il quarto album della band inglese in tale arco temporale, a sei anni di distanza dal precedente “The Coldroom Sessions”, periodo nel quale il suo silenzio è stato interrotto dal solo Ep “The Sky Still Looks The Same” (2014). Da lì riparte il percorso della band originaria di Oxford, adesso dislocata tra Londra e il Galles, più in particolare da asciutte cadenze ritmiche e marcati spessori chitarristici che, unite al cantato tenebroso del bassista Chris Taylor riportano indietro le sue ideali lancette stilistiche ai tempi d’oro della wave.
Dell’originario impianto post-rock in “Now I Am On Fire” rimane appena il gusto per cavalcate elettriche emotivamente travolgenti, mentre dello shoegaze gli evanescenti effetti di chitarre che tuttavia assumono inclinazioni mai così varie. Potrebbe sorprendere, in effetti, il pur corposo jingle jangle di “Promised Me Horses”, che coinvolge anche il cantato di Taylor, nell’occasione imprevedibilmente lieve, così come il malinconico crescendo wave di “I Just Want To Drift” e l’ampio respiro atmosferico e contemplativo di “The Last Time I Saw The Stars”. Sul piano opposto si collocano passaggi incalzanti, dalle chitarre estremamente decise ed esplicite, quali “Menace” e gli strumentali “Adventures In Winter” e “Blankets” e, soprattutto, la sferragliante “Garage 59”, che filtra in maniera esplicita i riferimenti eighties attraverso la più recente esperienza degli Interpol.
Del suono abitualmente caratterizzante la band inglese restano quasi soltanto la combinazione di riverberi languidi e impeto travolgente di “A Moment Of Clarity” e la sequenza di rilanci armonici della già edita “The Sky Still Looks The Same”, che ristabilisce vecchie aderenze con i Kitchens Of Distinction. Si ritrova qui l’autentico punto mediano dell’ampio ventaglio espressivo della band inglese, in sé emblematico di una graduale sedimentazione di gusto e sensibilità, nel segno di una orgogliosa autonomia creativa.