MARISSA NADLER & STEPHEN BRODSKY – Droneflower
(Sacred Bones, 2019)
Come pochi altri incontri artistici, quello tra Marissa Nadler e Stephen Brodsky (Cave In, Mutoid Man) concilia opposti espressivi e tematici in una sintesi di personalità che produce risultati sorprendenti. Conosciutisi nel 2014 corso del tour successivo a “July”, i due musicisti hanno finito per condividere un’esperienza estranea ai rispettivi binari creativi che per entrambi ha trovato nell’altro la controparte in grado di rendere complementari una varietà di timbriche chitarristiche con interpretazioni folk tenebrose ed evocative.
Il mutevole risultato di tale processo è tutto nelle dieci tracce di “Droneflower” e nella sua cinematica sequenza di dense ambientazioni sonore e vaporose parti vocali, che appunto definisce un bilanciamento tra linguaggi creativi distanti, suggellato tra l’altro da due cover di estrazione estremamente diversa, ovvero “Estranged” dei Guns N’ Roses (dilatata in una ballata di delicatezza ipnotica) e la conclusiva “In Spite Of Me” dei Morphine (con la partecipazione del sassofonista della band Dana Colley). Non meno variegati sono i registri dei brani originali, che spaziano da derive psych innervate di elettricità (quello di “Buried In Love” è quasi uno shoegaze al rallentatore) ad arpeggi folk (“Shades Apart”) che smussano solo in parte gli spigoli di una grana sonora che denota una consistenza robusta anche nei suoi passaggi maggiormente caratterizzati da effetti dilatati.
A fungere da filo conduttore del lavoro sono allora proprio i caratteri dei due artisti e il loro reciproco interesse per campi espressivi ulteriori rispetto a quelli abitualmente solcati, che in “Droneflower” è sbocciato in una seducente ibridazione di tensione e magia.
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