MARISSA NADLER – For My Crimes
(Sacred Bones, 2018)
Rispettando quasi alla perfezione la cadenza biennale dei suoi lavori (otto in circa quindici anni), Marissa Nadler racchiude in “For My Crimes” un nuovo saggio dell’evocativo fascino delle sue interpretazioni, che nell’occasione si rivestono di tratti maggiormente decisi, in coerenza con un contesto sonoro non più solo orientato a raffinati incanti folk.
Benché tematiche e ambientazioni tenebrose non siano affatto inedite per l’artista bostoniana, invece abituata a indulgere a sfumature goticheggianti, “For My Crimes” si colloca in un periodo di riconsiderazione della sua ispirazione, che coincide con testi di affilata introspezione, frutto di una sensibilità spiccatamente femminile, che non a caso trova corrispondenza nelle numerose musiciste e collaboratrici che hanno partecipato al lavoro. Oltre all’arpa di Mary Lattimore e agli archi di Janel Leppin, le undici tracce in scaletta vedono infatti comparire cammei vocali da parte di Angel Olsen e di Kristin Kontrol (Dum Dum Girls), nonché un paio di veri e propri duetti con Sharon Van Etten (“I Can’t Listen To Gene Clark Anymore”, “Lover Release Me”).
Il profilo stesso delle collaboratrici d’eccezione connota “For My Crimes” in senso intenso e vibrante, in parallelo a una grana sonora che agli languori dream-folk (pur ricorrenti ad esempio in brani quali la title track e “Flame Thrower”) associa più robuste strutture elettriche. Nonostante il rinnovato contesto, il naturale lirismo dell’estensione vocale di Marissa Nadler finisce per plasmare i brani alla sua pronunciata personalità interpretativa che, in assenza di spunti di scrittura davvero memorabili, fa di “For My Crimes” un album comunque piacevole.