angel_olsen_my_womanANGEL OLSEN – My Woman
(Jagjaguwar, 2016)

Fin dal debutto “Half Way Home”, Angel Olsen ha dimostrato di essere artista dalle (almeno) due facce: quelle della cantautrice folk e della ragazza con la chitarra elettrica sono senz’altro le principali personalità che convivono nel suo modo di fare musica, privo di compromessi e incurante dei recinti di genere.

Le dieci canzoni del terzo album “My Woman”, che segue di due anni il precedente “Burn Your Fire For No Witness”, non solo confermano tale complessità del profilo dell’artista del Missouri ma vi aggiungono, se possibile, tratti e sfumature ulteriori. Registrato in presa diretta a Los Angeles con il produttore Justin Raisen (Sky Ferreira, Santigold), il lavoro vede la Olsen affiancata da una band sempre più ampia, appunto funzionale a soddisfare le esigenze della sua multiforme ispirazione e a rivestire le proprie canzoni di abiti sonori sempre diversi. A quelli già palesati nei primi due dischi, si aggiungono in “My Woman” quelli moderatamente sintetici dell’iniziale “Intern”, scritta sul pianoforte come altri brani del disco ma poi trasfigurati ora in un abrasivo formato elettrico, ora in ballate più riflessive, in filigrana alle quali affiora ancora il retroterra folk della Olsen.

In coerenza con la sua personalità bifronte, il lavoro può infatti considerarsi diviso in due parti: nella prima si manifesta in maniera vibrante l’energia rock della Olsen, le cui interpretazioni vigorose e dirette trovano il necessario sostegno in chitarre incandescenti e ritmiche insistite, che ne modellano un profilo da riot girl (“Shut Up Kiss Me”, “Not Gonna Kill You”), appena temperata da una produzione in grado di garantire immediatezza leggermente smussata ai suoi graffi elettrici (“Never Be Mine”).

Discorso totalmente diverso riguarda la seconda metà del lavoro, invece dominata da ballate dai sognanti tratti retrò (“Heart Shaped Face”), rivestite persino da sinuosi accenti soul (“Those Were The Days”). Da questi brani, mediamente più lunghi rispetto ai precedenti, emerge tuttavia il comune denominatore del nuovo stadio evoluzione di Angel Olsen, senz’altro ormai indirizzata verso una multiforme dimensione di accessibilità cantautorale, che trova il proprio suggello quando resta, infine, quasi da sola a pennellare una ballata incentrata sul pianoforte (“Pops”).

Non che l’ispirazione impervia e decisamente singolare di “Half Way Home” sia svanita, tuttavia nell’aggiungere ulteriori tessere nel complesso puzzle espressivo di Angel Olsen, “My Woman” disorienta più di quanto convinca dal punto di vista della naturalezza di una scrittura adesso di tutta evidenza intesa a voler colpire platee sempre più ampie, con la propria miscela di energia e raffinatezza.

http://angelolsen.com/

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